Produzione : Scommessa vinta per M. Harima

Un quarto della produzione di tè è esportato, soprattutto in Europa dove ha ottenuto un label. ©Elodie Hervé per Zoom Giappone

La sua storia risale a trent’anni fa. Aveva allora 24 anni. “Appena dopo il passaggio di un tifone, c’era bel tempo e faceva caldo”, si ricorda. Amando da sempre il saké, ne aveva bevuto un po’ coi colleghi prima di uscire per polverizzare dei pesticidi sulle coltivazioni. All’improvviso ha avuto una vertigine ed è svenuto. All’ospedale, il medico gli ha spiegato che questo malore era dovuto a un problema di fegato. “Se vuoi vivere a lungo, devi abbandonare sia il saké, sia i pesticidi!”, lo ha avvertito il dottore. In quel momento Harima Yoshiyuki ha deciso di dedicarsi all’agricoltura bio. “Un modo per assicurare una salute migliore ai miei dipendenti e ai clienti che acquistano i miei prodotti”, confida. Non è stata una scelta facile. Il clima umido della zona favorisce il proliferare degli insetti e delle erbacce. “In molti non capivano la mia iniziativa”, si ricorda. All’epoca, produrre tè bio era semplicemente impensabile, al punto che uno dei suoi vicini, anche lui produttore, gli chiese di smettere. “Il tuo sistema attira gli insetti nocivi”, gli avrebbe detto. Aiutato da un amico che da tempo coltivava tè verde senza pesticidi e senza concimi chimici, si è tuttavia lanciato nell’impresa, affittando una parte dei campi appartenenti a suo padre. Durante i primi due anni i raccolti sono stati disastrosi. Durante il terzo anno, le cose sono migliorate. Senza pesticidi, i famosi “insetti nocivi” sono tornati, ma sono tornati anche i loro predatori. In questo modo le coccinelle, le mante religiose e i ragni hanno fatto ritorno nei campi. Il ristabilirsi di questo equilibrio naturale ha fatto sì che il rendimento fosse decisamente migliore.
“Dal terzo anno in poi, abbiamo sempre avuto un raccolto migliore del precedente”, ama ricordare. Si è anche reso conto che la coltura bio gli costava molto di meno, visto che non spendeva più nulla in erbicidi e pesticidi. Non solo gli insetti hanno rifatto capolino. “Cinque o sei anni dopo aver iniziato a coltivare bio, i fiumi si sono ripopolati di pesci, li credevamo scomparsi”, aggiunge Harima sorridendo.
Nel 2009 ha ottenuto il label dell’agricoltura biologica dell’Unione Europea su consiglio di un amico italiano che voleva commercializzare in Italia il suo tè. Visto che “la regolamentazione giapponese per ottenere il label all’epoca non era così rigorosa come quella europea”, ha accettato volentieri la proposta. È dunque diventato il primo agricoltore bio giapponese ad essere riconosciuto dall’Europa. Questo gli ha valso la visita di numerosi osservatori.
“Arrivano qui molti stranieri, ma anche produttori giapponesi curiosi di conoscere il nostro savoir-faire”, assicura sorridendo.
Non è difficile capire la curiosità di questi produttori. Poiché è con il suo label, messo in evidenza sul suo sito internet, che Harima Yoshiyuki ha affrontato il mercato estero, europeo soprattutto.
Un quarto delle venti tonnellate di tè prodotte è esportato all’estero. La coltura bio appare dunque come una soluzione per uscire dall’impasse creatasi con la caduta delle vendite all’interno del paese e con le norme sui pesticidi, una situazione delicata affrontata da numerosi agricoltori locali. L’iniziativa di Harima Yoshiyuki non poteva cominciare in un momento più propizio. Dopo aver conquistato il mercato americano, principale importatore di tè verde giapponese, la bevanda ha cominciato a sedurre il Vecchio Continente.
Apprezzato per i suoi effetti benefici sulla salute – anti-age, anti-stress -, il tè verde giapponese riscuote un ottimo successo, in particolare in Francia. Sempre più bar servono tè verde. Al punto che il primo “Matcha bar” ha aperto le porte in primavera nella capitale francese . Con uno sviluppo simile della consumazione, anche se certi prodotti derivati come i dolci al tè rimangono poco conosciuti, tutto sembra indicare che la sfida di Harima Yoshiyuki avrà un esito sempre migliore. “Non avrei mai immaginato che un giorno il mio tè sarebbe stato esportato in Europa” ammette, ancora incredulo.
I suoi recenti successi commerciali gli hanno permesso di comprare nuovi terreni, lasciati all’abbandono da altri produttori a causa della loro età e della mancanza di eredi. Con 600 ettari di piantagioni al suo attivo, ossia il triplo rispetto ai tempi in cui non era ancora cominciata l’avventura bio, colui che aveva dovuto convincer il padre recalcitrante per tentare questa via, sembra ora più che fiducioso nella scelta operata trent’anni fa.
Yagishita Yuta