Cultura pop : Impossibile evitarla

Lickitung (Beroringa in giapponese) è un Pokemon di tipo Normale della prima generazione. / DR

I personaggi ispirati agli yokai e gli yokai stessi, si trovano un po’ ovunque nella cultura giapponese, seppur difficili da riconoscere, salvo per gli esperti di mitologia giapponese, cultura e religione tradizionale. Persino lo scrittore Murakami Haruki è arrivato a inserirne qualcuno nei suoi romanzi, come il misterioso Hitsuji o meguru bôken, Nel segno della pecora (ed. Einaudi). Tralasciando la letteratura, anche lo studio di produzione Ghibli e il suo regista di punta in particolare, Miyazaki Hayao, si sono spesso serviti degli yokai per trasmettere messaggi ecologisti. Già nel 1988 era presente nel loro terzo lungometraggio, Il mio vicino Totoro (Tonari no Totoro), qualche personaggio fantastico che non apparteneva al pantheon degli yokai tradizionali (Miyazaki afferma con orgoglio di non aver mai utilizzato questo nome nei suoi film), ma presenti a tutti gli effetti. Da parte loro, i tanuki di Takahata Isao in Pom Poko (Heisei tanuki gassen Ponpoko, 1994), che usavano il loro potere di trasformazione per combattere contro la crescita incontrollata delle periferie sono direttamente ispirati alla mitologia giapponese. La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi, 2001), il maggior successo di Miyazaki, racconta di numerose creature mitologiche bizzarre quali lo shikigami e No-face, lo spirito solitario che diventa ossessionato da Chihiro e la segue ovunque. È però il film del re dell’animazione, che offre senza alcun dubbio il miglior ritratto dell’animismo e del culto della natura in Giappone: Principessa Mononoke (Mononoke Hime, 1997). Il film contiene un buon numero di kodama (spiriti che popolano gli alberi) rappresentati da piccoli umanoidi bianchi con grandi teste tintinnanti.
Lo Studio Ghibli non è certamente il solo fornitore di storie di yokai. In molte serie televisive di cartoni animati, come I signor dei mostri (Nurarihyon no Mago, ed. Planet Manga), accade che il protagonista, Nura, viva in una casa piena di yokai, e che suo nonno sia il capo clan, Inuyasha; un’avventura piena di humor, in cui il personaggio è mezzo umano e mezzo yokai. O ancora, in Natsume degli spiriti (Natsume Yûjin-chô, ed. Panini Comics), un adolescente orfano che vede gli spiriti, eredita da sua nonna defunta un libro che enumera tutti gli esseri che era riuscita a sconfiggere e rendere suoi servitori.
I film, come è facilmente intuibile, pullulano di yokai, tanto che si potrebbe dedicare un intero articolo ai fantasmi cinematografici. Tanto per darvi un’idea, Kwaïdan (1965) di Kobayashi Masaki è un’antologia di storie dell’orrore, ispirate proprio a Kwaidan di Lafcadio Hearn. Quest’opera cinematografica ha vinto numerosi premi, compreso il Premio Speciale della Giuria, al Festival di Cannes. Nel 1968-69, Kuroda Yoshiyuki ha realizzato una trilogia consacrata agli yokai, il cui episodio più noto è il secondo film, intitolato Yokai Monsters: Spook Warfare (Yokai Daisenso). E’ la storia di un mostro vampiro, nell’antica Babilonia, che, dopo essere stato disturbato da dei cacciatori di tesori, arriva in Giappone, scatenando una coalizione di yokai locali decisi a sconfiggerlo. Il film risulta abbastanza comico, grazie anche all’uso massiccio di effetti speciali e alla mania tipicamente giapponese di far rappresentare le creature fantastiche da attori travestiti. Il maestro dell’horror, Miike Takashi, ne ha anche fatto un remake nel 2005. È piuttosto curioso invece, che in The Great Yokai War (Yokai Daisenso), film fantastico per bambini, il conflitto tra società tradizionale e moderna abbia preso il posto delle antiche e classiche tendenze nazionalistiche.
Una nota simpatica nel film di Miike compare il mangaka Mizuki Shigeru che interpreta il ruolo di uno yokai incaricato di mantenere la pace. Per coloro che ancora non lo conoscono, Mizuki è l’artista che, tra gli anni ’50 e ’60, è stato il principale artefice della rinascita dei yokai nella cultura popolare. Egli, che aveva cominciato già poco dopo la fine della guerra a illustrare storie per i kamishibai (teatro di immagini) e per i kashihon (servizio di prestito libri) ha creato, dopo molti tentativi, Hakaba no Kitaro (Kitaro dei Cimiteri). La sua opera diventerà, cinque anni dopo, una serie nel Shônen Magazine, poi rinominata nel 1967 GeGeGe no Kitaro (Kitaro dei Cimitero). La prima versione di Kitaro raccontava di un personaggio molto più cupo e malefico, considerato troppo spaventoso per i bambini, è stato poi ricondotto ad una dimensione più simpatica e umana. Mizuki ha reso i yokai così popolari che le sue storie sono state riadattate più volte per il cinema, non solo quello di animazione. Ancora oggi la maggior parte delle persone associa gli yokai al suo nome. In un’intervista rilasciata nel 2005 al Japan Times,  il mangaka, nato nel 1922, che aveva in grande considerazione gli yokai, credeva che l’elettricità ne avesse causato la loro sparizione: ”la penombra, rischiarata dalla lieve luce delle lanterne di carta o delle lampade ad olio, era adatta agli yokai, e ha permesso alle persone di immaginare il loro universo”. Fortunatamente, la sua arte ha riportato in primo piano l’interesse verso questo eteroclito gruppo di creature della cultura popolare giapponese.
Gianni Simone

Mizuki Shigeru, grande esperto di yokai, ha dedicato loro un dizionario pubblicato in Italia presso le edizioni Kappalab.