Kumamoto, terra di speranza

La casa di Yoshida Kengo, alias Kengoman, fa sempre una certa impressione a chi viene dalla città. / Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone

“Non formiamo realmente una comunità, ma cerchiamo di aiutarci mutualmente e di portare avanti attività comuni come il debbio, le colture sui terreni arsi, utili a rigenerare la foresta per il beneficio delle prossime generazioni” afferma, mostrando una decina di uomini e donne intenti a raccogliere la hie, una sorta di miglio giapponese, ai piedi della montagna Yuyama. Vestiti delle loro tradizionali tenute contadine, complete di tabi -calzature a due dita – panno tenugui stretto intorno al capo, e sacca degli attrezzi artigianali attorno alla vita, vengono tutti dalle grandi città, abbandonate dopo l’incidente nucleare.
“L’arrivo su queste terre fertili e il bisogno di rigenerarsi ha ispirato loro un interesse per certe culture dimenticate come l’indaco o il miglio giapponese hie, reputato per le sua qualità nutritive ed economiche” spiega la signora Abe.
“Si dice che sia il cerale del povero, ma fa sempre parte del DNA giapponese, rende forti come cavalli” esclama Seiroku, un grande rasta giapponese vestito di un kimono indaco e acconciato con un turbante giamaicano che trattiene appena la sua massa di dreadlokcs. Dal suo arrivo su queste montagne, questo nativo di Kyoto si consacra alla raccolta delle canne per la costruzione dei tetti tradizionali, altro artigianato che sta andando perduto.
“L’accoglienza in queste campagne è stata mediocre all’inizio, ma dopo un po’ la gente del posto ha visto come fossimo seriamente intenzionati a diventare agricoltori, applicando metodi più antichi dei loro!” afferma divertito, ricordando l’espressione stranita dei contadini locali quando hanno visto questi giovani cittadini strambi coltivare del miglio.
Il debbio era stato abbandonato da tempo nella regione. “Siamo fieri di riprendere un savoir-faire antico di 5000 anni” ricorda Abe Isoko.
“Una volta qui c’erano migliaia di castagneti, ma i proprietari erano troppo vecchi per occuparsene, le terre sono state quindi via via sfruttate per il legname” continua la donna, mostrando le foreste di cipressi ben allineati che ricoprono le montagne
“In seguito il progetto di un centro di energia solare avrebbe dovuto svilupparsi proprio su questi terreni. Con mio marito abbiamo quindi deciso di acquistarli e di rigenerare la foresta primaria grazie al debbio”. Cominciato nel 2015, questo progetto che consiste nel coltivare i terreni in un ciclo di rotazione e riposo su quattro anni ha riunito attorno a sé un’associazione che ha per ambizione far rinascere la foresta per le sette generazioni a venire. “Vogliamo creare qui un buon ambiente per i nostri figli” dichiara Abe.
Dopo il raccolto il gruppo si dirige verso la bellissima casa in legno costruita da colui che qui viene chiamato rispettosamente “Daiku”, il carpentiere. “Mio marito viaggia molto, d’altra parte è sui cantieri per la maggior parte del suo tempo” spiega ancora la signora Abe.
Sotto le foglie rosse e dorate, ognuno estrae il suo picnic e o lo depone al centro della tovaglia: purea di marroni al tofu, verdure salate tsukemono condite col peperoncino togarashi, pane di miglio.
“Mangiare del miglio è un po’ come tornare indietro al tempo dei nostri antenati” fa notare Seiroku. “È ciò a cui la maggior parte di noi aspira, un modo di vita autonomo, basato su conoscenze ancestrali, come la coltivazione del miglio!” La comunità di Mizukami non è la sola ad attingere la sua ispirazione nella tradizione per inventare un nuovo stile di vita.
A nord della prefettura, la valle di Kikuchi, conosciuta per le sue cascate e per le sue foreste autunnali accoglie ugualmente numerose persone alla ricerca di nuove esperienze di vita.