In viaggio : Niigata, la terra promessa

Le risaie occupano gran parte del paesaggio. / Kazumi Kaneko


A Niigata, dove un inverno rigido e innevato la fa da padrone per sei mesi, si dice che con un tale clima ci si merita un buon sakè. L’emblematica bevanda giapponese è “l’armonia perfetta tra riso e acqua”, ci ricorda Kitazawa Akiko, rappresentate della storica Imayo Tsukasa. “La vera arte risiede nella scelta del riso, nel suo grado di raffinazione, nella qualità dell’acqua usata e nel controllo della fermentazione”, la chiave della purezza della bevanda è proprio la raffinazione: più il riso è raffinato più il sakè diventa prezioso e delicato. Niigata ha da tempo scommesso tutto su questo. La prefettura vanta un record di consumo (12,4 litri per abitante): il sakè è un vero tesoro. Lo si cura e si è orgogliosi di avergli dato la nobiltà che gli consente di recuperare oggi la sua popolarità. “A inizio anni ’70, eravamo davvero nel momento di picco del mercato del sakè in tutto il Giappone”, racconta Odaira Shunji, presidente delle distillerie di sakè di Niigata; “subito dopo la guerra la produzione si era completamente fermata, a causa della carestia bisognava risparmiare ogni chicco di riso per nutrirsi. Quando si poté poi tornare a distillare il sakè, fu davvero una festa!”. Progressivamente però, di fronte alla concorrenza del vino, della birra e anche del shôchû (alcool distillato a partire da patate dolci), i giapponesi incominciano a sdegnare il sakè, visto come desueto. A Niigata il consumo è sempre stato alto, il picco è arrivato più tardi e ha persino toccato il punto più alto nel 1998, spiega Odaira Shunji. La prefettura contribuisce ad innovare il processo con dei metodi produttivi unici e emerge tra le migliori regioni produttrici, insieme al Kansai (la regione di Osaka e di Kyôto), altra eccellenza del sakè.
Ancora secondo Odaira Shunji, la ragione del successo si trova prima di tutto nella qualità del riso utilizzato, un prodotto locale e ritenuto tra i migliori del Paese. Anche la scelta di una raffinazione più profonda va in questa direzione e garantisce un gusto più nobile e secco. Quello che è stato nominato dagli abitanti Niigata Tanrei. “Da una trentina di anni, abbiamo deciso di puntare su una varietà di pratiche che favoriscano la produzione di sakè di alta qualità e oggi sono questi prodotti a vendere di più. I giapponesi consumeranno meno sakè in quantità, ma sono pronti a spendere per delle qualità migliori.” La classificazione delle categorie del sakè si basa sulla raffinazione del chicco di riso, visto che il cuore è la parte più ricca in amido. Il riso base, il junmai shu, è raffinato al 70% o oltre; per il sakè tokubetsu-junmai-shu, si usa invece un riso raffinato al 60% o oltre; per il junmai ginjô-shu, meno del 60 %. Infine per il migliore, il junmai dai-ginjô, si tratta di riso raffinato al 50% o meno.
“Per alcuni dei nostri sakè, siamo scesi fino a una raffinazione dei chicchi del 35%”, precisa Kitazawa Akiko, mentre entra nelle sale della distilleria in cui lavora, la ditta Imayo Tsukasa, che sorge nel pieno centro di Niigata dal 1767, una istituzione in tutto l’arcipelago. Non è passato molto che già l’odore del riso e il profumo del legno, unico materiale dell’edificio, stuzzichino le narici. “Secondo una leggenda la distilleria Imayo Tsukasa si trovava una volta nel cuore di una montagna qui vicino, ma nessuno sapeva esattamente dove”, prosegue la rappresentate della ditta. ”Si è spostata qui durante l’era Edo e si è ingrandita attorno a questa struttura in legno.” Nel fondo della sala, un piccolo altare emerge da un soppalco raggiungibile con una ripida scala. “Qui veniamo a pregare il dio del sakè, che ha il suo tempio a Nara”, ci spiega. Una leggera variazione nella temperatura può compromettere l’intero processo di fermentazione e quindi la produzione dell’alcol. Ecco perché si prega che tutto vada per il meglio e che il gusto sia perfetto al momento di imbottigliare. A Niigata, più ancora che una tecnica ancestrale, il sakè è una religione.
Sicuramente non sarà Obata Rumiko a dirci il contrario: l’erede della distilleria Obata Shuzô, che produce il famoso sakè Manotsuru, è la sola donna a capo di un tale stabilimento nella prefettura.
Al Sakè no jin si presenta con un grande sorriso, si trova al festival per far degustare il cru della famiglia ai visitatori. Il suo sguardo benevolo tradisce comunque la fierezza di rappresentare l’isola di Sado, da cui proviene, e un carattere ben affermato. All’inizio non si sentiva destinata in alcun modo a seguire questa difficile strada “ho fatto degli studi di comunicazione e di cinema, che è la mia passione e ho fatto carriera a Tôkyô, fino ai miei 28 anni, quando però mio padre si è brutalmente ammalato. Ho avuto molta paura e mi sono resa per la prima volta conto che la sua vita non era eterna.” In quel momento è allora tornata a Sado, per riprendere le redini della distilleria di famiglia fondata nel 1892. Oggi il padre è più sano che mai e lei non rimpiange nemmeno un attimo la sua scelta.