C’era una volta il wain…

Per molto tempo, si è ritenuto che il clima e il rilievo del Giappone non fossero propizi alla produzione vinicola. / Eric Rechsteiner per Zoom Giappone


Senza contare che le imprese nipponiche importavano dei vini stranieri a buon mercato e li mescolavano, o compravano sempre all’estero del succo d’uva concentrato a cui venivano aggiunti acqua e zucchero per farlo fermentare. A tal punto che per lungo tempo la regione che produceva più vino era la prefettura di Kanagawa, vicino al grande porto industriale di Yokohama. Le fabbriche di vino erano costruite vicino al mare per non dover trasportare la materia prima. Una bevanda che secondo le norme e i criteri europei non dovrebbe chiamarsi “vino”, aveva un gran successo commerciale.
Molti giapponesi si ricordano di questi vini di qualità mediocre prodotti nell’arcipelago e possono testimoniare delle loro cattive esperienze. Sebbene il succo fosse importato, si poteva qualificare la bevanda come kokusan wain, “vino di produzione nazionale”, visto che una parte della produzione veniva realizzata all’interno del Paese.
Per questo motivo gli autentici vignaioli giapponesi si sono battuti a lungo perché la denominazione di nihon wain fosse applicata soltanto ai vini prodotti interamente in Giappone, con uve raccolte localmente (denominazione in vigore dal 2015) per fare finalmente la differenza coi kokusan wain, esistenti ancora oggi.
Tamamura Toyoo, uno dei precursori in questo settore, proprietario del vigneto Villa d’Est, ma anche celebre autore di numerose opere dedicate alla gastronomia e ai vini francesi, conosce la storia del vino in Giappone a memoria. Si ricorda d’altra parte molto bene degli anni Settanta, quando i giapponesi non avevano ancora familiarità col vino: lui era appena tornato da un soggiorno di studi in Francia. In quell’epoca, in Giappone, i vini in commercio erano o costosissimi, o vini californiani popolari. Quando a volte la bottiglia sapeva di tappo, i commercianti non volevano sentirne parlare e dicevano: “E’ proprio quest’acidità a conferire carattere al vino…”
Il pregiudizio secondo il quale il clima nipponico non era propizio alla coltura delle vigne si è rivelato duro a morire, persino fra i giapponesi stessi. È vero che piove in maniera abbondante e che l’umidità provoca delle malattie e la proliferazione di insetti nocivi. La prefettura di Nagano, considerata oggi come una delle regioni più rappresentative per la produzione di vino giapponese, era stata sconsigliata a Tamamura quando si è trasferito qui negli anni Novanta.