C’era una volta il wain…


Asai Usuke, enologo leggendario e autore di numerose opere sul vino, soprannominato anche “il padre del vino giapponese contemporaneo” ha ugualmente contribuito a far emergere molti “Usuke boys”, suoi discepoli, che oggi realizzano vini riconosciuti a livello internazionale.
Altro esempio: recentemente il Domaine de Montille in Borgogna ha deciso di creare un vigneto a Hakodate e vi ha esportato 50.000 viti. Possiamo dunque sperare che una grande rivoluzione sia in corso.
Bisogna dire che il lavoro di divulgazione compiuto da lunga data da persone come Tamamura Toyoo ha portato i suoi frutti. Grazie ai suoi scritti, non soltanto ha trasmesso l’interesse per i vini “autentici” , ma ha testimoniato, con esempi concreti, cosa significa diventare viticoltori, o andare a vivere in campagna.
In alcuni suoi libri dettaglia le legislazioni estremamente complesse dell’amministrazione giapponese, e l’iter necessario per la produzione del vino. Questo può servire da riferimento a coloro che aspirano a creare le proprie vigne, o al grande pubblico.
La tripla catastrofe del 2011 (tsunami, disastro nucleare e terremoto) ha evidentemente giocato un ruolo non indifferente nel cambiamento di mentalità dei giapponesi. Tamamura Toyoo racconta che prima erano soprattutto uomini sulla quarantina, o sulla cinquantina, appassionati di vini e provenienti da classi altolocate (medici, avvocati, o professionisti nella finanza…) a riconvertirsi al mondo del vino, investendovi i guadagni del loro precedente lavoro.
Da otto anni ormai, sempre più giovani coppie si trasferiscono in diverse regioni per consacrarsi all’agricoltura. Prima le donne erano piuttosto reticenti a seguire i mariti nella realizzazione del loro sogno di diventare viticoltore. Oggi molte giovani donne, preoccupate per l’ambiente in cui crescono i figli (figli che talvolta devono ancora nascere!) pensano ad intraprendere questa nuova vita.
La prova: 30% dei produttori di vino giapponese è costituita da donne.
“Il settore del vino può essere il più moderno nel mondo della produzione”. È una frase che si sente dire spesso nell’universo del vino giapponese. Le tecniche di fabbricazione, gli errori da evitare o le astuzie da adottare si trovano facilmente sui siti in libera consultazione. Le donne vi partecipano, le relazioni sono sincere e chiare. Questo ambiente si è sviluppato recentemente in Giappone, il che ha evitato che venisse contaminato dalle vecchie abitudini maschiliste o dall’esclusività che poteva caratterizzare altri settori tradizionali nel Paese.
Alcuni dicono che il prezzo dei vini giapponesi, non certo fra i meno cari se si tiene conto del costo della manodopera, rischia di essere un freno al loro successo popolare.
Ma non sono i vini giapponesi a costare caro, sono gli alcool in generale che non sono “abbastanza cari” in Giappone. Le bottiglie di vino vendute nei supermercati, che siano del
 kokusan wain o dei vini stranieri, costano talvolta soltanto 500 yen (3,5 €). Una bottiglia di bevanda alcolica da 350 ml costa appena 100 yen (meno di 1 €) nei konbini, quei mini-market nipponici aperti 24 ore su 24. Difficile, in questo contesto, convincere le persone che i vini possono essere deliziosi, ma che le bottiglie possono costare fino a 20 €…
È una situazione che suscita lamentele anche da parte dei produttori di saké.
I saké di qualità rimangono sempre abbordabili rispetto ai vini europei, ma i giapponesi trovano i prezzi ancora troppo elevati.
Per strano che possa sembrare, i giapponesi, per molto tempo, non hanno prestato attenzione al contenuto delle loro bevande. I grandi collezionisti di vini rappresentano davvero delle eccezioni. L’alcool era un mezzo di comunicazione fra uomini, che “andavano a bere” e mangiavano molto poco. Questa tendenza non è completamente svanita. L’impiegato di una grande azienda di bevande alcoliche mi ha un giorno confidato: “quando osserviamo i prodotti che si vendono meglio, emerge chiaramente che la maggior parte dei giapponesi cerca semplicemente di…ubriacarsi”.
In seguito alla firma dell’accordo di libero scambio concluso con l’Unione Europea, quest’anno si assisterà all’abolizione delle tasse sui vini europei, i prezzi di quest’ultimi stanno scendendo e la concorrenza si farà dunque ancora più rude.
Quando uno straniero va in Giappone, ha tendenza a voler immergersi completamente nella realtà locale, andando nelle izakaya (trattorie giapponesi) e ordinando del saké…Ma coloro che conoscono un po’ questo Paese sanno bene che è proprio assimilando elementi venuti da fuori che il Giappone ha costruito la sua propria identità. Allora, perché limitarsi al saké, alla birra e ai whisky giapponesi -questi ultimi due d’altra parte, di chiara origine straniera-? A chi è curioso di scoprire i vini giapponesi, Tamamura Toyoo suggerisce di chiedere nei ristoranti se hanno vini locali nel menù.
Se nei supermercati si può -ahimé- ancora trovare vini di produzione giapponese che non valgono la pena di essere degustati, possono riservare sorprese più piacevoli le bottiglie scelte dai ristoranti.
L’interesse manifestato dagli stranieri può spingere i ristoratori ad arricchire ulteriormente la loro carta di vini pregiati.
Malgrado la reticenza e la resistenza di alcuni, le cose avanzano. Dalla pubblicazione della sua opera-manifesto Chikuma wine valley sei anni fa, Tamamura Toyoo ha realizzato la maggior parte dei progetti che aveva intrapreso.
La sua “accademia del vino” attira quelli che desiderano immergersi nell’universo dei viticoltori, e gli ex allievi sono già diventati produttori. Ha ugualmente restaurato un antico negozio in un villaggio, appartenuto in passato ad un venditore di saké, per far rinascere questo luogo di incontro caro agli abitanti.
Nello stesso villaggio, con l’aiuto della gente del posto, ha trasformato un’antica casa tradizionale in albergo, per permettere agli appassionati di vino di venire qui a vivere un’esperienza di turismo enologico.
La rapidità con cui riesce a far decollare i suoi progetti è sorprendente. Tamamura Toyoo afferma che per instaurare una dinamica all’interno della comunità, bisognerebbe prima di tutto avere l’appoggio delle municipalità, capaci di concepire una vera visione globale a lungo termine (ringiovanire la popolazione, accogliere nuovi agricoltori, concepire un villaggio eco-turistico, per esempio). Ha perfettamente ragione quando aggiunge che, affinchè la regione possa rimanere un riferimento nella produzione di vini, dovrebbe avere un polo di formazione, un’università dotata di una sezione enologica e agronomica, specializzata nella fermentazione.
“Ci sono quelli che mettono in dubbio il fatto di riunire più produttori nella stessa zona. Io ci vedo solo dei vantaggi. Anche se la composizione della terra e il clima sono identici, secondo l’esposizione del suolo, il tipo di vigneti, il momento della vendemmia o della vinificazione, i vini prodotti non saranno mai gli stessi. Non esiste una sola soluzione, esiste un’evoluzione permanente. È questo che appassiona: una bottiglia di vino è al tempo stesso l’espressione del territorio e quella della persona che vi lavora. Molti fra i produttori che conosco, ancora lontani dall’ottenere dei lauti guadagni, dicono che dopo una giornata di lavoro, contemplare le vigne scaccia ogni fatica. Per l’agricoltura, ci vuole una bella proiezione, una visione ampia. Il risultato del loro lavoro è il paesaggio” fa ancora notare.
“Il vino è appassionante perché rappresenta una metamorfosi permanente. Anche presso uno stesso produttore, con lo stesso vitigno, si può sempre avere una sorpresa. Aprendo una bottiglia, o lasciando le bottiglie riposare nelle cantine… Non c’è mai routine coi vini, e soprattutto, è euforizzante poter assistere a tutte queste evoluzioni vertiginose del vino giapponese” aggiunge Kakimoto Reiko, dal suo punto di vista di appassionata.
Decine di anni di sforzi da parte dei produttori spiegano l’entusiasmo attuale. “Il bello del vino è che con le vigne si introduce una visione a lungo termine. Per produrre del vino bisogna prima di tutto piantare le viti, e aspettare cinque anni prima di poter vendemmiare. Le bottiglie possono maturare col tempo, e i vigneti saranno ancora là dopo la mia morte. Una volta che non ci sarò più, sarebbe meraviglioso se il mio villaggio continuasse ad avere cura dei miei vigneti, mi piacerebbe una targa che recitasse: “Pare che sia un certo Tamamura ad averle piantate, qui…” suggerisce Tamamura Toyoo col sorriso.
Sekiguchi Ryôko