Dalla nascita sono trascorsi trent’anni: lo studio di Miyazaki Hayao e Takahata Isao è riuscito a imporre il suo sguardo sul mondo
Si dice che i capolavori colgano sempre lo spirito del tempo. È assolutamente il caso dei film d’animazione prodotti dallo studio Ghibli. Porco rosso, uscito nel 1991, ne è un buon esempio.
«Per lavorare meglio, bisogna dormire la notte». Nel corso della ri-diffusione del film a inizio novembre, questa semplice frase pronunciata dal “maiale volante” è rimasta impressa nello spirito dei giapponesi, ancora sotto choc a causa della morte di una ragazza di appena ventiquattro anni, avvenuta qualche settimana prima, per karoshi (morte per eccesso di lavoro).
Malgrado ciò, osservando da vicino la storia dello studio Ghibli, si constata che i suoi creatori non seguivano granché i consigli del loro Porco Rosso. «Sono un padre che lavora troppo. Ieri, sono rientrato a casa all’1h30 del mattino, come tutto il resto della settimana», ha riconosciuto un giorno Miyazaki Hayao.
Responsabile dello studio e amico di lunga data del regista giapponese, Suzuki Toshio conferma: «Quelli che si interessano ad altre cose oltre al lavoro, non possono diventare dei buoni disegnatori. Questa è la filosofia di Miyazaki». Si può aggiungere che il rigore e il perfezionismo spinti agli estremi, fino al fanatismo, costituiranno il dogma dello studio Ghibli, senza il quale non avrebbero potuto nascere le opere oggi conosciute a livello mondiale.
La storia dello studio Ghibli ruota attorno a due artigiani dell’animazione: Takahata Isao e Miyazaki Hayao, entrambi appartenenti alla generazione nata subito prima o durante la guerra del Pacifico. Prima di aprire il loro studio, si erano fatti conoscere grazie al successo della serie Heidi diffusa nel 1974. «Contrariamente alle abitudini dell’epoca, si sono recati in Svizzera per studiare la cultura e la natura dei luoghi al fine di rappresentarli meglio nella serie. Takahata Isao, appassionato di letteratura francese, non ha esitato a descrivere i meandri dei sentimenti umani, il che ha segnato un’autentica differenza con altre serie animate destinate ai bambini», spiega Yonemura Miyuki, specialista di film d’animazione all’università Senshu.
Dieci anni più tardi, i due lavorano su Nausicaa della valle del vento, film diventato culto. Takahata è il produttore e Miyazaki il regista. L’eroina, il cui nome evoca una principessa della mitologia greca, si rivela il prototipo dei personaggi femminili che popoleranno i successivi film di Miyazaki. «Contrariamente a certi personaggi femminili della Disney, Nausicaa non è affatto il genere di eroina in attesa di un principe che faccia di tutto per venirla a salvare. Creare un tale personaggio all’epoca fu cosa inedita, e riflette probabilmente l’ascesa del femminismo in Giappone agli inizi degli anni Ottanta. Nausicaa incarna in questo senso l’immagine della donna moderna», spiega Yoshida Kaori, ricercatrice presso l’università Ritsumeikan Asia Pacific. Il successo è dietro l’angolo: il film attira circa un milione di spettatori.
Questo spinge i due ad aprire il proprio studio nel 1985 per liberarsi dagli obblighi relativi ai tempi e al budget imposti dalla televisione. Per il nome, Miyazaki sceglie la parola italiana “ghibli”, che indica il vento caldo e secco del Sahara. È anche il nome dell’aereo di ricognizione italiano degli anni Trenta: il termine traduce il desiderio di provocare una tempesta innovativa nel settore. Ma le due fonti d’ispirazione delle opere – il vento e l’aereo – sono abilmente dissimulate in questo termine italiano, che si pronuncia jiburi in giapponese.
Da subito, lo studio si impegna nella realizzazione di opere di alta qualità. «Elaborare ogni film il più possibile, investendovi tempo e denaro, e realizzare senza compromessi delle opere dove ogni dettaglio sia curato minuziosamente», riassume Suzuki Toshio, ex editore di riviste sull’animazione, oggi responsabile di studio presso Ghibli.
Nel 1988, Takahata presenta il più celebre dei suoi film: La tomba delle lucciole. Tratto da un racconto semi-biografico firmato Nosaka Akiyuki, descrive con un realismo toccante la sorte crudele di un ragazzino di 14 anni e della sua sorellina di 4 anni, rimasti orfani della madre nel corso di un bombardamento americano. Questa tragedia sottolinea ancora una volta come i film dello studio Ghibli non siano creati unicamente per i piccoli. Il leggendario perfezionismo di Takahata ritarda la produzione del film, al punto che lo studio finisce per diffondere una versione incompleta, con dei piani solo abbozzati. Sentendosi in colpa, il regista decide di mettere un termine alla sua carriera, prima che Miyazaki lo convinca a ritornare sulla sua decisione.
Nello stesso anno esce Il mio vicino Totoro, primo film di Miyazaki dopo la creazione dello studio Ghibli. La storia si svolge in Giappone. Prima di allora il cineasta aveva sempre trovato la sua ispirazione nei paesaggi europei, segno del rapporto complesso che intratteneva con il suo Paese d’origine. «Sono cresciuto in una democrazia impregnata di quell’anti-militarismo sviluppatosi dopo la guerra. I giapponesi si consideravano allora come un popolo di serie B e rifiutavano la cultura del loro Paese», confidava il regista in un’intervista rilasciata nell’88.
Profondamente ispirato dai suoi studi in etno-botanica, il film l’ha aiutato a cogliere «l’importanza dell’ambiente e della natura», permettendogli così di ricostruire il legame con la sua terra natale. «Se questo ambiente viene distrutto, l’ultimo legame tra me e il Paese andrà perduto», è solito affermare.
Per mostrare la sua passione per la natura, disegna con una raffinatezza infinita fiori carezzati dal vento, l’acqua che scorre nei ruscelli o i tronchi d’albero ricoperti da una coltre di muschio. I paesaggi dei suoi film suscitano nei giapponesi la nostalgia dell’infanzia e della vita in campagna.
Tuttavia, sono «la sfida ecologica e la critica verso la società moderna» gli elementi importanti che emergono in questa presenza costante della natura. Yonemura Miyuki spiega che «questa tendenza emerse già in Nausicaa della valle del vento. All’epoca si trattava di un fatto inedito, nessun altro aveva mai affrontato un tema così serio in un film d’animazione».
L’ecologia sarà un elemento-chiave per entrambi i registi, come dimostra il film Ponpoko, realizzato da Takahata e uscito nel 1994. Adottando un tono tragicomico, tratteggia un ritratto del popolo giapponese mezzo secolo dopo la fine della guerra. Tre anni più tardi, Miyazaki riprende il tema del conflitto fra gli uomini e la natura. Abbondantemente documentato da studi antropologici, La principessa Mononoke racconta in maniera commovente la storia degli uomini che sfidano gli dei della foresta. Probabilmente all’apogeo della sua carriera, il regista si impegna a creare un condensato dei dilemmi della società moderna. Oltre alla questione ambientale, abborda il tema dei diritti dei lebbrosi e conclude la storia senza che vi siano vincitori o vinti. «Non era un film fatto per designare chi è gentile e chi è cattivo. Il bene e il male convivono in tutti gli uomini», spiega.
Questo capolavoro incontra un successo senza precedenti con – per il solo Giappone – più di 19 miliardi di yen di incassi, un record assoluto per un film d’animazione.