Sebbene le quantità prodotte restino modeste, ci sono tutte le condizioni per passare allo stadio superiore.
L’ora del vino giapponese sembra finalmente essere giunta. Dopo esser stato considerato per numerosi anni come un semplice mercato d’importazione per i produttori europei, americani e australiani, il Giappone sta diventando un produttore di vini raffinati che attirano ogni giorno di più l’attenzione degli esperti stranieri.
Tutto è cominciato nel 2013, quando un vino bianco della prefettura di Yamanashi, il Grigio di Kôshû del vigneto Grace 2012, ha ottenuto una medaglia d’oro ai Decanter Asia Wine Awards, sponsorizzati dal magazine britannico Decanter. Prima di ciò, nel 2004, un altro vino originario di Yamanashi, Aruga Branca, si era conquistato una medaglia d’oro ad un concorso francese. Questi primi exploit hanno fatto tacere tutti i detrattori che non smettevano di prendere in giro senza sosta i vini di Kôshû, e in particolare Yamamoto Hiroshi, reso celebre per aver detto che questa regione era “essenzialmente sprovvista di personalità, come le donne giapponesi”.
La popolarità crescente dei “vini del Giappone” è un fenomeno assai recente, che risulta da un certo numero di fattori. Da una parte, secondo il sommelier di fama internazionale ed editore del magazine Vinothèque, Tasaki Shin’ya, i media locali sono sempre alla ricerca del prossimo evento o fenomeno importante e oggi è il momento del vino. Diverse riviste e siti internet propongono storie di produttori locali e consigliano ai loro lettori di abbinare i vini col cibo. D’altra parte, l’industria vinicola ha finalmente capito cosa sia necessario fare affinchè il vino giapponese acquisti prestigio.
Per troppi anni, i produttori hanno seguito delle pratiche obsolete, vecchie di decenni, accontentandosi di approvvigionare il loro limitato mercato locale. Gli attori di queste produzioni si avvicinano oggi all’età della pensione (l’età media degli agricoltori della prefettura di Yamanashi, primo produttore d’uva del Giappone, era di 68,2 anni nel 2015) e sono progressivamente rimpiazzati da una generazione più giovane, che non ha paura di sperimentare nuovi metodi.