Cosciente delle sfide che la nostra società deve affrontare, Sugawara ci confida la sua visione dell’architettura.
La sua percezione dell’architettura è cambiata dopo il sisma del marzo 2011?
Sugawara Daisuke: La tragedia non ha sconvolto il mio modo di pensare, al contrario mi sono convinto della correttezza del mio punto di vista. Dopo lo scoppio della bolla finanziaria agli inizi degli anni Novanta, ho l’impressione che abbiamo avuto la tendenza a considerare l’architettura come un gioco, in particolare se ci riferiamo alla concorrenza frenetica a cui gli architetti si sono lasciati andare per trovare nuove forme e concetti. Nel mondo dell’architettura giapponese, la mia filosofia era ben diversa. Si trattava di “creare un edificio per vivere”, e questo non aveva nulla a che fare col gioco competitivo intrapreso dagli altri. Parlando di “habitat”, era indispensabile creare un’architettura che permettesse agli abitanti di queste regioni di viverci. Il terremoto non ha scosso il mio modo di vedere le cose. Al contrario, mi ha rassicurato sulla bontà del mio approccio.
Fra le numerose sfide con le quali il Giappone deve confrontarsi, l’invecchiamento della popolazione è uno dei temi più spinosi. Qual è la risposta che l’architettura deve fornire, secondo lei?
S. D.: Uno dei problemi di una società che invecchia è l’esistenza di quella che viene definita “la persona anziana isolata”. Vivendo spesso lontano dalla famiglia ed avendo perso la cerchia amicale, le sue possibilità di uscire sono limitate, anche in caso di problemi di salute e malattie. Si può morire a casa propria senza essere scoperti. Per prevenire questo problema è possibile concepire una casa connessa con la comunità locale: credo che l’architettura debba giocare un ruolo importante in questo. Durante l’epoca di forte crescita economica, la gente ha sviluppato una sorta di odio, di distacco verso la famiglia e verso i valori tradizionali. Ciò ha portato alla costruzione di case monofamigliari chiuse al resto della società. Ora però che l’economia e gli artifici del boom economico hanno perso vigore, le persone, non soltanto gli anziani, provano una certa angoscia che le porta a cercare il contatto con gli altri. Lo sviluppo dei social network come Twitter o Facebook rappresentano bene questo fenomeno. Se è dunque possibile aprire la casa o una parte di essa verso l’esterno e la comunità, le persone, e non solo quelle più deboli e sole, potranno costruire una società dove sarà facile creare legami fra gli individui. Nel contesto dell’invecchiamento della popolazione, è un buon modo di promuovere una vita sana e favorire le relazioni fra le “persone anziane isolate” e le autorità locali. Si ritrova in parte questo approccio architettonico nel progetto dei lotti provvisori di Rikuzentakata al quale ho partecipato.
Rispetto ai decenni passati, la difficile situazione economica del Giappone pesa sul suo lavoro di architetto? Se sì, in che modo?
S. D.: Tenendo conto del declino demografico e dei conseguenti cambiamenti economici, ho l’impressione che ciò che viene richiesto al nostro lavoro d’architetto abbia subito un’evoluzione. Fino ad oggi, per un architetto il successo era rappresentato dal progetto riuscito di un museo, di un teatro, di una biblioteca, o l’ottenimento di un importante appalto pubblico. Si chiedeva all’architetto di progettare opere di una bellezza irreale, con uno stile spettacolare. Oggi, questo genere di edifici non risponde più alle esigenze di un Paese in crisi dove la popolazione decresce. La maggior parte di quegli edifici, d’altra parte, è stata costruita da architetti che oggi hanno più di sessant’anni. Ciò che si domanda ad un giovane architetto non sono più opere ambiziose e ardite, piuttosto gli si chiede di concepire edifici dalle dimensioni ragionevoli che si integrino con l’ambiente circostante e che rispondano alle caratteristiche della regione e della comunità presso le quali vengono costruiti. In altri termini, si è passati a una nuova filosofia che vede il fulcro nella relazione fra le persone e le cose. D’altra parte, possiamo notare come gli appalti siano organizzati principalmente dalle collettività locali e dalle piccole imprese piuttosto che dallo Stato o dalle grandi società. Questi stessi appalti riguardano oggi sempre meno i grandi edifici cittadini. Vengono preferite piccole strutture in provincia o opere di rinnovamento.
Su quali progetti sta lavorando?
S. D.: Lavoro attualmente con dei professionisti addetti allo sviluppo delle aree locali su un progetto residenziale chiamato “La casa connessa”. Non si tratta di immaginare casa per casa, ma di concepire lo spazio tra ogni nucleo abitativo per elaborare le vie e i sentieri che saranno condivisi dagli occupanti del lotto. In una cittadina della prefettura di Akita, mi sto occupando di un progetto di restauro di edifici tradizionali destinati a essere trasformati in caffè e centri sociali. Il progetto è ambizioso: non si tratta di lavorare solo sugli edifici, ma di favorire gli scambi creando un legame solido tra i luoghi oggetto del restauro e il resto della città. Per svilupparli ho quindi l’incarico di curarne l’immagine. Infine, a Yamanakako, nella prefettura di Yamanashi, dove gli spostamenti in autobus sono molto utilizzati, mi occupo della creazione di nuove pensiline destinate a valorizzare il territorio creando un legame tra il luogo e i passeggeri.
Se avesse mezzi tecnici e finanziari illimitati, su quale progetto vorrebbe lavorare?
S. D.: L’invecchiamento della popolazione non è un problema che riguarda solo il Giappone. Concerne l’insieme dei Paesi industrializzati. Vorrei dunque impegnarmi nella concezione di nuovi modelli di pianificazione urbana che tengano conto di questo fattore affinché le città conservino il loro fascino. In seguito alla modernizzazione del Paese e al periodo di boom economico, le costruzioni non hanno mai cessato di aumentare. In una società fondata sull’idea di crescita, tutte le tecniche architettoniche disponibili per rispondere a ogni esigenza a seconda del luogo venivano accorpate e integrate le une con le altre in una produzione di massa. In una società in declino, invece, ci si rende conto di come sia più efficace rivedere le tecniche proprie ad ogni identità regionale per reintegrarle al luogo di appartenenza. In un contesto dove viene prodotto solo ciò che è necessario, si debbono valorizzare le tecniche che permettono di produrre costruzioni in quantità sufficiente a livello regionale, abbandonando la produzione di massa. Ecco ciò che mi sta a cuore. È un’idea non si limita solo al Giappone. Può diventare un modello per il resto del mondo.
Intervista di O. N.