Mare blu, trekking e terme con vista superba. Niente di tutto questo evoca il sinistro passato di Hachijo, quando l’isola – fino al XIX secolo – era un luogo di deportazione. Circa duemila criminali dell’epoca Edo (1600 – 1868) hanno purgato qui le loro pene, guardando con nostalgia la riva lontana dove avevano lasciato la loro vita e le loro famiglie.
Qualcuno ha provato a scappare, ma “in questa prigione naturale formata dalle scogliere, il governatore dell’epoca non doveva darsi molto da fare per impedire le evasioni, a parte sorvegliare le imbarcazioni”, racconta Tamura Yoshinori, impiegato presso il Museo di Storia e di Folklore di Hachijo. Anche se riuscivano a prendere il largo, la potente corrente di Kuroshio, chiamata “fiume nero” dai locali, sbarrava loro la strada. Nel corso di tre secoli, vengono recensiti undici tentativi di evasione, ma soltanto la banda della prostituta Osakaya Kacho e del suo amante Kisaburo riuscì a fuggire. Trovarono rifugio dai genitori di Kacho, prima di essere arrestati e poi condannati a morte dal regime nel 1839. I registri storici non danno ulteriori dettagli sulle loro vite, ma questa fuga ha colpito l’immaginario di molti. Così, si ritrovano i nomi di Kacho e di Kisaburo in alcune opere letterarie.
Questo passato non ha lasciato tracce visibili per i turisti, ma la distanza che separa Hachijo dall’isola principale è ancora oggi una realtà con cui fare i conti. È questa distanza che, grazie anche al clima tropicale, ha influenzato la cultura locale nei suoi vari aspetti. Lo Shima-zushi, “sushi dell’isola” che la popolazione locale gusta con della mostarda, ne è un esempio. “Prima vengono fatti marinare i filetti di pesce nella salsa di soia” spiega Fukuda Eiko, 77 anni, proprietario e gestore dell’albergo Garden So. Il sale contenuto nella salsa ritarda la decomposizione e la mostarda “rileva nello stesso tempo sia il gusto del pesce che quello del riso condito con salsa dolce”. Come mai non utilizzano il wasabi? “Mio padre ha tentato di coltivarlo sull’isola, ma ha finito per lasciar perdere. Fa troppo caldo, qui”, spiega.
Nel passato, questo piatto, di cui i turisti nelle izakaya (bar e trattorie giapponesi) vanno matti, rappresentava il lusso assoluto: la terra poco fertile di montagna e le falde freatiche sotterranee limitate non permettevano di produrre riso a sufficienza. “Ne preparavamo soltanto per le occasioni speciali, durante le feste stagionali o quando qualcuno partiva per la capitale”, ricorda Fukuda Eiko. Quest’aneddoto ricorda la storia delle carestie che hanno colpito l’isola a più riprese fino al XIX secolo. Lontani da tutto, gli abitanti rimanevano senza risorse in caso di anomalie climatiche.
Le caratteristiche di una terra isolata si ritrovano ancora oggi e si manifestano soprattutto riguardo alla dipendenza dallo Stato e dal governo di Tokyo. Circa il 60% del budget locale dipende da queste due istituzioni. Per uscire dall’impasse, gli abitanti hanno puntato soprattutto sul turismo, prospero in particolare negli anni Sessanta e Settanta.
All’epoca, le agenzie di turismo proponevano Hachijo come le “Hawaii del Giappone”. Questo slogan allora suonava diversamente poiché viaggiare all’estero senza essere sottomessi a controlli severi era qualcosa di utopico. Sono stati costruiti uno dopo l’altro dei grandi hotel, per non perdere nulla di questa manna economica. Ma le ambizioni immobiliari hanno avuto vita breve. Nel bel mezzo degli anni Sessanta, il governo ha proceduto via via a liberalizzare i viaggi all’estero. Le porte ormai aperte, lo slogan “le Hawaii del Giappone” risultava ormai un po’ patetico e non ha più avuto lo stesso effetto sui turisti.
L’ultimo blocco, la quotazione proibitiva del dollaro si è sciolto dopo gli accordi del Plaza nel 1985 e non c’è stato dunque più nulla da fare per poter trattenere i turisti a Hachijo. Gli hotel locali, spesso sovradimensionati, hanno perso in massa la loro clientela e hanno cominciato a chiudere, uno dopo l’altro. L’Oriental Hotel Resort, situato a poca distanza dall’aeroporto, è il simbolo di questo periodo crepuscolare. Inaugurato alla fine degli anni Sessanta, questo luogo emblematico di Hachijo, dotato di piscina e persino di un teatro, è stato abbandonato nel 2006. Smantellarlo sarebbe costato troppo. Vittima dell’erosione causata dalla brezza marina e della pressione della vegetazione tropicale che lo ricopre ormai a metà, l’imponente rovina dell’Oriental Hotel Resort attira ormai soltanto gli appassionati di ruderi abbandonati.
Ma i tempi cambiano. Da qualche anno a questa parte, il numero di turisti stranieri in Giappone è esploso. L’organizzazione dei Giochi Olimpici a Tokyo nel 2020 dovrebbe accelerare la tendenza. Le autorità di Hachijo non hanno alcuna intenzione di lasciarsi scappare questa ghiotta opportunità. Si preparano con un rinnovo intelligente delle strutture originariamente concepite per i turisti giapponesi, in attesa dei nuovi ospiti.
Yagishita Yuta
Come andare
Se siete tentati dal viaggio in nave, prendete il largo dal molo Takeshita Sanbashi (5 minuti a piedi dalla stazione JR Hamamatsucho). Sono disponibili biglietti a partire da 7.600 yen, potete acquistarli direttamente presso lo sportello sul molo. La nave parte alle 22.30 dalla baia di Tokyo e arriva sull’isola alle 8.50 del mattino dopo. Per il ritorno, la partenza è alle 9.40 e l’arrivo alle 19.40. A bordo troverete docce e ristoranti per rinfrescarvi e rifocillarvi.
Se preferite l’aereo, i biglietti partono da 13.790 yen per la tratta Haneda-Hachijo. Il volo è assicurato dalla compagnia ANA tre volte al giorno.