Nel 1949, la pubblicazione su una rivista della serie Watashi no kazoku (La mia famiglia), risultato di queste messinscene famigliari, fa sensazione. Nelle sue scenette, l’artista non esita a introdurre degli accessori originali quali un cappello o un ombrello, trasformati così nei simboli del suo stile ludico e ironico. Nel corso dello stesso anno partecipa a una sessione commemorativa sulle dune coi colleghi Domon Ken e Midorikawa Yoichi. Appena un anno più tardi, nel 1951, Ueda organizza la sua prima sessione di nudo sulle dune. Durante gli anni Ottanta, dopo il decesso della moglie, che lo affligge profondamente, torna sui luoghi delle sue fotografie più celebri spinto dal figlio Mitsuru. Ritrovando la magia del posto, inventa una nuova maniera di strutturare lo spazio, con un campo di visione più ampio.
Oggi queste stesse dune sono diventate un’autentica attrazione turistica: armati di ombrello durante i giorni di vento e pioggia, i visitatori diventano loro malgrado dei personaggi di Ueda.
Se nel corso della sua vita il fotografo ha considerato le dune come il suo studio, così è per tutta la regione. Diceva spesso che il cielo e il mare, elementi principali del paesaggio costiero di Tottori, rappresentavano uno sfondo ideale. Ne ammirava le variazioni di colore durante il susseguirsi delle stagioni, creando una delicata tavolozza di grigi per le sue immagini in bianco e nero, che costituiscono gran parte della sua opera. La sua curiosità e audacia lo spingevano a esplorare i dintorni senza stancarsi mai, trascorrendo un tempo considerevole in questi luoghi. Sovente, osservava i bambini sul cammino della scuola, le loro risate riecheggiavano nelle vie della sua cara borgata di provincia. Afflitto da una cronica timidezza, Ueda era più a suo agio coi bambini, a cui consacrerà la serie Doreki (Il calendario dei piccoli) dal 1955 al 1970, celebrazione onirica del passaggio delle stagioni al ritmo delle festività popolari locali. Dal 1974 al 1985 si rituffa nei suoi archivi accettando l’iniziativa editoriale proposta dal magazine Kamera Mainichi. Il fotografo è invitato a seguire un percorso retrospettivo sviluppando vecchi negativi dimenticati e associandoli a immagini più recenti. Questa serie, Chiisai Denki (Una piccola biografia), è un vagabondaggio nei paesaggi della sua infanzia. Senza alcuna cronologia ma sviluppandosi su diversi anni, quest’opera sottolinea il forte legame tra la fotografia e il tempo che passa.