Incontri : Lascia che entri la felicità

Ha anche progetti culturali ? La cultura per lei è un elemento determinante per favorire la stabilità della popolazione?
S. N. : A causa della bancarotta, Yubari è stata la città che ha subito il taglio più consistente al suo budget culturale. Arrivando da Tokyo mi sembrava ovvio invitare degli artisti a Yubari, i quali mi hanno detto: “Se volete creare un’opera d’arte a Shibuya vi trovate i vicini addosso che si lamentano del rumore, qui a Yubari, invece, i vicini vi portano da mangiare e offrono addirittura il loro aiuto”. Gli artisti erano davvero contenti di poter creare in un clima sereno: abbiamo voluto fare di Yubari un luogo di creazione e di espressione artistica. Quando i tempi si fanno difficili, l’arte può essere un mezzo importante per tenere alto il morale. Ogni anno Yubari ospita l’unico festival di cinema fantastico del paese; benché la vita sia difficile, una volta all’anno, durante il festival, ci dimentichiamo dei problemi guardando diverse centinaia di film, proiettati dalla mattina alla sera. Sa che Angelina Jolie è venuta a Yubari? E Quentin Tarantino pure!

Per molti giapponesi Yubari è una città nostalgica, circondata da un’atmosfera un po’ anni ’50 ’60. Non sarebbe il caso di svecchiarla un po’?
S. N. : Vi sono delle cose da abbandonare e altre invece da preservare , come il concetto di “ichizan ikka”,”una montagna, una famiglia”, che fa riferimento alla miniera di carbone. Le persone che vi lavorano non hanno obbligatoriamente dei legami di sangue, e probabilmente rischieranno di morirci in quella montagna, per un crollo, un incendio o una fuga di gas. Bevendo un bicchiere di vino, immersi in questa precarietà, si diventa una vera famiglia: “Se io muoio, conto su di te perché tu possa prenderti carico della mia famiglia”. Ecco quello che accadeva, ecco cosa significa “una montagna, une famiglia”. Questa è la cultura di Yubari. In una grande città non si conosce neanche il proprio vicino, la vita è facile, comoda: si può vivere senza aiutarsi a vicenda. Qui, no. Infatti, ancora oggi il concetto “una montagna, una famiglia” resta fondamentale.
Ora invece le cose da cambiare sono l’idea che si possa ancora tornare a quando c’erano 100.000 abitanti, piuttosto che riflettere su come rendere felici coloro che vi sono rimasti. E su questo tutti devono fare un passo indietro e uno in avanti: dobbiamo lavorare su due fronti simultaneamente : la conservazione e il cambiamento. Ecco perché dialoghiamo con le persone dicendo:“se amate la vostra città, fate uno sforzo!”. La prima volta che ho sentito l’espressione “una montagna, una famiglia”, l’ho trovata subito molto bella ed evocativa. In cento anni, 3.000 uomini hanno perso la vita nelle miniere. Le donne si sono ritrovate sole ad allevare i loro figli. Imaginate le difficoltà, le persone dovevano per forza aiutarsi tra loro, condividendo gioie e dolori. Lo sfruttamento delle miniere è durato fino al pochi anni fa, al 1990. Quando la città ha dichiarato bancarotta, abbiamo trovato insieme il modo per superare le difficoltà, nonostante diversi ostacoli : dalla fine dello sfruttamento delle miniere al debito della città. Gli abitanti sono riusciti ad andare oltre tutto questo, quindi credo che qualsiasi cosa possa accadere, sapremo superarla.

Testimonianza raccolta da O. N.