Originario di Kumamoto, Masaki Takashi è diventato uno delle figure di riferimento per coloro che intendono cambiare vita.
Masaki Takashi non ha atteso l’11 marzo 2011 per cominciare a pensare a un nuovo modo di vivere. Già nel 1964 l’adolescente ribelle di 18 anni, assalito da un profondo disagio nei confronti della società giapponese, partì per un viaggio che durò dodici anni. Ispirato da diverse comunità capaci di vivere in autarchia, tornò in patria nel 1980 per creare nella sua regione natale di Kumamoto le basi di una vita autarchica.
Le sue azioni per proteggere l’ambiente sono condensate in un libro precursore: Ki wo uemasho, pubblicato nel 2002. Il volume parla della necessità di uscire dal nucleare e della società di consumazione, suggerendo una revisione dell’insieme del nostro sistema di valori.
Ciò che lui chiama la “nascita di una nuova civiltà” fornisce la chiave per cominciare una vita basata sull’autarchia e diventerà una guida per molte famiglie che – dopo Fukushima -sono scappate alla ricerca di una nuova terra dove ricominciare da zero.
Sette anni più tardi “l’uomo degli alberi” rimane una figura di riferimento. Lo incontro ai piedi del monte Aso a Kikuchi, nella sua proprietà di cinque ettari situata in una vallata luminosa coperta di aceri e di campi da tè, “dove, alle prime luci dell’alba appare la stella del mattino in compagnia della mezzaluna”. Irrigata da acqua di sorgente, questa proprietà un tempo abitata da cinque famiglie di contadini troppo anziani per occuparsene, è diventata un rifugio, ma anche una colonia dove giungono bambini da Fukushima o dalla Corea.
In fondo sorge il capanno che costituisce il suo ufficio e la sua abitazione. Un letto, una stufa, grandi finestre che incorniciano la bellezza della foresta durante l’autunno giapponese. Il luogo è estremamente rappresentativo di quest’uomo magro e dallo sguardo luminoso, che ha percorso l’India in cerca di spiritualità e di risposte.
Prima di dar inizio all’intervista Takashi guarda con un’aria tenera un pino che si piega davanti alla sua finestra e mi chiede, mormorando, se posso salutare quest’albero, ispiratore dei suoi pensieri.