Ichikawa Mariko, esperta di vini, è riuscita a trasformare una passione in una caratteristica della sua personalità.
Normalmente quando un giapponese decide di lanciarsi in una nuova attività, si sforza di fare del suo meglio per conoscerne tutti gli aspetti. Gli appassionati di vino non fanno certo eccezione, anzi: non solo leggono libri, ma partecipano ad atelier e corsi di formazione nonché a degustazioni guidate. C’è chi, però, si spinge oltre, e Ichikawa Mariko ne è un bell’esempio.
Nata e cresciuta a Tôkyô, non è una professionista del vino (lavora infatti in tutt’altro campo) e non si considera nemmeno particolarmente preparata, eppure si può davvero definire come una vera “esperta di vini”. Ecco cosa ci spiega la giovane donna: “L’Associazione giapponese sommeliers propone due tipi di diplomi: uno da sommelier e l’altro da esperto. Per avere la qualifica di sommelier si deve acquisire oltre ad un’approfondita conoscenza dei vini, una comprovata esperienza nei ristoranti e passare un esame sul servizio a tavola. Gli aspiranti esperti, come me, sono testati solo sulle conoscenze teoriche e sulla capacità di degustazione”. Tra le altre cose Ichikawa Mariko aiuta un amico a organizzare tutti i mesi delle degustazioni guidate: “Il mio amico è un piccolo ma attento importatore di vini francesi che acquista lui stesso recandosi regolarmente nel sud della Francia alla ricerca di vini naturali, il meno possibile trattati chimicamente, e la differenza si sente eccome! Inoltre si impegna a difendere anche il vino giapponese prodotto nella prefettura di Nagano.” Il suo interesse per il Nettare degli Dei risale all’infanzia: “A mia mamma piaceva il vino, amava in particolare i vini corposi, strutturati, e anche io, rispetto a quelli leggeri che invece erano e sono ancora piuttosto in voga in Giappone”. Mariko ci racconta di aver assaggiato per la prima volta il vino a diciotto anni (l’età minima per poter bere bevande alcoliche in Giappone è di venti anni), e che nonostante il suo interesse spazi dal saké alla birra passando per il shôchû, il vino resta la sua bevanda prediletta.“Per me confrontato alla birra o al saké, il vino resta facile da bere e da accompagnare con il cibo; la birra mi piace ma solo in alcune stagioni dell’anno, mentre il vino lo riesco ad apprezzare sempre. Sia al ristorante che a casa, la scelta del vino è un momento di piacere per me: leggere le etichette, cercarne le origini e sperimentare gli abbinamenti migliori, tutte queste sono fonti di soddisfazione”.
Quando le chiedo perché ha una preferenza per un certo vino, lei torna al periodo in cui viveva negli Stati Uniti e studiava a New York design e comunicazione: “Quando ho iniziato a lavorare viaggiavo molto e spesso le riunioni si rivelavano piene di tensioni, ma dopo, davanti ad un buon bicchiere di vino, l’atmosfera cambiava, tutti si rilassavano e le tensioni accumulate svanivano come per magia… Così ho iniziato ad interessarmi alla cultura del vino e alla sua storia, volevo capire perché le persone di diversi Paesi avessero punti di vista e gusti diversi così culturalmente radicati, e in queste serate passate con amici stranieri ho ripensato al Giappone, alle mie abitudini e credenze. Ad esempio i mei colleghi della Nuova Zelanda sceglievano sempre vini del loro Paese spiegando cosa li rendesse così unici. All’epoca la mia conoscenza sui vini giapponesi era limitata e ascoltando cosi tante storie ho preso coscienza di due cose in particolare: volevo imparare di più sul mondo dei vini, in particolare sui vini giapponesi. Infatti ho cominciato a viaggiare e visitare le aziende vinicole a Yamanashi e Nagano in particolare”.
Come gli italiani e i francesi, anche Mariko ha iniziato a prendere l’abitudine di bere un bicchiere di vino ogni giorno, durante i pasti o alla sera dopo il lavoro. “Spesso vado a serate di degustazione o mi ritrovo con gli amici per bere un bicchiere e cucinare insieme qualcosa. Anche la stagione della fioritura dei ciliegi (hanami) si accompagna bene a dei pique-niques in cui provare il piacere di un buon vino in compagnia. Fino a poco tempo fa il vino era sinonimo di cucina occidentale, ora progressivamente si inizia ad abinare il vino anche alla nostra cucina tradizionale giapponese: ad esempio quando mangio del sushi preferisco il vino bianco al saké”.
Benché Mariko prediliga i vini rossi, è aperta ad ogni scoperta: “Ho iniziato con i francesi e gli italiani, i grandi classici, per spostarmi poi verso altre scelte come “le vin d’or” e i vini americani fino ai vini dolci. Sto imparando a conoscere anche i vini del Cile e dell’Argentina che hanno il vantaggio di essere economici. Recentemente poi ho acquistato dei vini israeliani, bulgari e mediorientali. Ogni volta che vado in un Paese assaggio il vino locale che ha sempre un gusto diverso nel luogo di produzione, e questo è un gran piacere! Da giapponese mi piace l’idea di un vino prodotto con uve nostrane da abbinare alla nostra cucina, benché rispetto ad altri il nostro si presenti come un prodotto delicato, ancora poco strutturato, che con il tempo sto imparando ad amare. Sono stata alla prefettura di Yamanashi da un amico contadino e ho avuto la fortuna di assaggiare dei vini interessanti. Per questo, sapendo bene la difficoltà di riuscire a coltivare una buona uva da vino, credo che i nostri viticoltori dovrebbero essere maggiormente sostenuti e incoraggiati”.
Gianni Simone