Certi agricoltori ad esempio, piantano oggi dei vigneti a più elevata altitudine e in file ben ordinate, in stile europeo, al posto delle pergole tradizionali. Quest’ultime erano state pensate per aiutare ad accelerare la maturazione durante le estati giapponesi tristemente umide. Anche Aruga Hiro, viticoltore di terza generazione della famiglia Aruga, detentrice di una medaglia d’oro per la sua attività, ha studiato in Borgogna prima di raggiungere il padre nell’azienda. Fa parte della giovane generazione di produttori freschi di studi in Europa, che applicano ora le loro conoscenze adattandole al clima e all’ambiente giapponesi, molto diversi da quelli incontrati durante la loro permanenza all’estero.
Un contributo importante alla credibilità internazionale del vino giapponese è giunto nell’ottobre scorso, quando il governo ha adottato una nuova legge che stabilisce una distinzione importante tra il kokusan wain (vino nazionale) e il nihon wain (vino giapponese). I vini prodotti da un mix di uve locali e importate appartengono alla prima categoria. Il loro prezzo è basso, sono fabbricati da grandi imprese quali Suntory e Château Mercian del gruppo Kirin, e si trovano un po’ in tutti i grandi supermercati giapponesi.
I secondi invece, sono elaborati con uve 100% giapponesi. Inoltre, per ottenere un’etichetta DOC (Denominazione di Origine Controllata) devono essere composti almeno da 85% di uve della regione.
Certo, non esistono vitigni propriamente giapponesi. Ad esempio, un’analisi realizzata all’Università della California a Davis ha mostrato come il Kôshû sia un ibrido composto principalmente da vitis vinifera (uva europea come lo chardonnay) e asiatica. Tuttavia, l’evoluzione locale e progressiva del vitigno durante i secoli ha prodotto una varietà autoctona.
Un numero crescente di piccole aziende vinicole ha raccolto la sfida e produce vini di grande qualità, 100% giapponesi.
Il mercato nazionale in passato era dominato da Suntory e da altre grandi imprese, ma nel 2004, nuove regole hanno facilitato la creazione di aziende vinicole di lusso.
Questa nuova concorrenza sembra aver avuto un’influenza positiva anche sui prodotti destinati al grande pubblico; le grandi imprese sono state infatti motivate a cercare mezzi per migliorare la qualità delle loro proposte.
I quattro principali produttori di bevande prevedono ugualmente di raddoppiare la superficie dei loro vigneti da qui al 2027 per raggiungere un po’ meno del 20% dell’insieme di colture d’uva in Giappone.
Nel febbraio scorso, il governo giapponese ha portato un contributo importante ai viticoltori – e al mercato del vino in generale – grazie alla conclusione del trattato di libero scambio con l’Unione Europea, con l’obiettivo di eliminare reciprocamente gli ostacoli tariffari e non tariffari sulle importazioni di vino e di prodotti alimentari.
Fino ad oggi, con tasse doganali che arrivavano a 94 yen per bottiglia, il mercato europeo era praticamente chiuso ai vini giapponesi. Le esportazioni di vino di Yamanashi sono state moltiplicate per venti nel corso degli ultimi cinque anni, ma i loro principali mercati esteri sono stati l’Asia e il Nordamerica.
Le esportazioni di vino verso l’UE, nel 2016, hanno rappresentato soltanto 10 per un totale di 15 milioni di yen. Il nuovo accordo dovrebbe facilitare considerevolmente le cose in questo settore. Certo, il trattato è valido per entrambi, ciò significa che le importazioni di vino europeo aumenteranno proporzionalmente, ma questa nuova sfida dovrebbe fornire ai produttori giapponesi un nuovo slancio per ridurre lo scarto esistente con l’Europa.
Il Giappone rimane una novità sulla scena vinicola internazionale e resta ancora molto lavoro da compiere per raggiungere i livelli degli altri produttori. Secondo un’inchiesta del 2016, realizzata dall’Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino (OIV), ad esempio, le esportazioni di vino giapponese non rappresentano che un’infima quantità di 56 chilolitri. Se paragoniamo questi dati a quelli dei pesi massimi nel mercato del vino quali Spagna, Italia e Francia, queste nazioni hanno esportato rispettivamente 2,28 milioni, 2,10 milioni e 1,50 milioni di chilolitri.
Tuttavia, mentre soltanto 0,35% del vino locale è esportato, la percentuale del vino giapponese venduto sui mercati esteri è regolarmente aumentata. Ad esempio, tra il 2015 e il 2016, le esportazioni hanno registrato un aumento del 30%.