Incontro : Un brindisi gioioso

La giornalista Noda Ikuko ha fatto ruotare la sua vita professionale attorno alla passione per la birra. / Eric Rechsteiner per Zoom Giappone

Attraverso l’incontro tra la giornalista Noda Ikuko e la birra, scopriamo il rapporto tra i giapponesi e questa bevanda.

Se i giapponesi amano la birra da più di un secolo, la maggior parte di loro non conosce la ricchezza e la varietà che caratterizzano il mercato, al di fuori del gusto Pilsner dominante.
Per rimediare a queste lacune ed educare il pubblico, un gruppo di esperti e autori specializzati nello studio di questa bevanda, ha creato, nel 2010, l’Associazione dei giornalisti giapponesi specializzati nella birra (JBJA). I membri di questa organizzazione informale, raccolgono e condividono informazioni sulla birra, visitano birrifici e coprono gli eventi legati a questa bevanda, organizzando atelier e degustazioni. Zoom Giappone ha intervistato la vice-presidente della JBJA, Noda Ikuko. Oltre ad insegnare presso la Beer Journalist Academy, Noda Ikuko scrive per diverse riviste, fra cui Beer Ôkoku (Il regno della birra), e ha pubblicato numerose opere sull’argomento.
Fervente partigiana delle birre artigianali, la giornalista, da più di dieci anni, tenta di mostrare ai giapponesi che esiste un mondo immenso e appassionante al di fuori del mercato domestico della Pilsner, e che la birra può essere gustata in svariati modi.
“Quando i giapponesi pensano alla birra, soprattutto durante l’estate calda e umida, non possono immaginare che a una cosa: bere una bevanda fresca e gustare un piatto di frittura, seduti in un locale all’aperto”, spiega.
“Ma non è la sola opzione possibile. Esistono numerosi tipi di birra e alcuni possono e devono essere consumati a temperature più calde. Ci sono anche birre aromatizzate al cioccolato e alla banana e alcune che sono acide come l’aceto. Questo è davvero sconvolgente per molta gente, qui.”
La vita di Noda Ikuko è stata un lento viaggio iniziatico. Ha persino vissuto diverse esperienze traumatiche sul suo percorso, che l’hanno portata a una sorta di “illuminazione” in fatto di birra. “Mi ricordo chiaramente della mia prima birra. Mio padre ne beveva tutte le sere. Cominciava a bere mentre mia madre preparava la cena, prima ancora che la nostra famiglia di sette persone si mettesse a tavola per mangiare. Beveva della Kirin Classic Lager e nient’altro. Sempre in bottiglia, mai in lattina. Mio nonno preferiva il saké caldo, ma per mio padre niente poteva essere paragonato a una buona birra accompagnata da calamari salati”, confida l’autrice.
“A forza di assistere a questa scena ogni sera per lunghi anni, ho finito per dirmi che doveva essere deliziosa, sebbene non fossi che una bambina. In seguito, dopo aver ottenuto il diploma di studi superiori, ho deciso di provare. Una sera, una delle mie amiche è venuta a trovarmi. Ho atteso che tutti dormissero per intrufolarmi in cucina e prendere una delle birre di papà in frigo. Dopo un sorso di questo liquido freddo, io e la mia amica ci siamo guardate, gli occhi spalancati per la sorpresa, e abbiamo esclamato: “ è buono!” (ride). Ho adorato il gusto amaro della birra. Immagino che l’alcol fosse già nel mio DNA! Dopotutto, vengo dalla prefettura di Yamagata, (a nord-ovest del Paese, zona celebre per i suoi sakè). Insomma, quella notte mi dissi che ero diventata un’adulta!”
La tappa seguente nell’educazione di Noda nella conoscenza della birra venne superata grazie ai manga.
“Non posso spiegare perché io ami la birra senza menzionare BAR remon hâto (Bar Lemon Heart) di Furuya Mitsutoshi. Ho cominciato a leggere questo manga agli inizi degli anni Novanta. Si tratta di una bibbia per tutti gli appassionati di alcolici. I personaggi principali sono il barman e qualche cliente assiduo, fra cui uno che non ha nessuna conoscenza in materia. Questo manga parla di ogni sorta di bevanda, ovviamente, e ho avuto la fortuna di imparare moltissime cose. In un episodio, Matsu-chan, uno dei clienti, beve una Timmermans al gusto di ribes nero. È così che ho scoperto l’esistenza della birra belga.
Inoltre, sono stata sorpresa nell’apprendere che una birra poteva contenere della frutta. All’epoca, non si trovava generalmente questo tipo di birra in Giappone. Dopo aver letto l’episodio, le porte della curiosità intellettuale si sono aperte davanti a me” ricorda.
Ha finito poi per gustare una Timmermans nel corso di una fiera della birra organizzata in un grande magazzino di Tôkyô, il Printemps Ginza.
“Avevo sviluppato una piccola ossessione per questa birra al ribes, quindi, non appena l’ho scorta, mi sono precipitata ad acquistarla. Ne comprai anche un’altra: l’etichetta era decorata con un motivo simile alla vetrata di una chiesa, mi era piaciuta. Sono tornata a casa per assaggiarle. Per me, bere birra leggendo qualcosa sul balcone di casa mia è la maniera ideale per trascorrere un momento gioioso”, racconta.
La seconda birra acquistata per puro capriccio, fu un’altra rivelazione.
“Ancora una volta, sospirai di soddisfazione, che cosa poteva essere? Aveva un intenso gusto fruttato, come di fichi maturi, ed era un po’ speziata. Fu il mio primo incontro con la Leffe Radieuse, una birra fabbricata in un monastero belga.

Fra le sue numerose iniziative e partecipazioni, il mook della serie Gokujô no bîru o nomô !
(éd. Entâburein) / Tutti i diritti riservati


L’avevo comprata solo per la sua graziosa etichetta, ma ho scoperto un nuovo mondo: una birra speziata dal gusto complesso, con note di scorza d’arancia e semi di coriandolo” aggiunge.
Noda Ikuko fu talmente impressionata da questa esperienza che decise di visitare il luogo in cui queste birre incredibili venivano prodotte.
“Avevo previsto di partire in vacanza in Inghilterra e in Francia per un paio di settimane, ma chiamai immediatamente l’agenzia di viaggi per chiedere di includere il Belgio nel mio programma. Certe esperienze sono talmente intense che spingono le persone a cambiare comportamento”.
Il suo terzo incontro formatore si verificò con una birra artigianale. “Penso fosse verso il 1996 o l’anno seguente. Ho scoperto una bottiglia di birra Ginga Kôgen.
Anche in questo caso, l’ho acquistata principalmente grazie alla sua etichetta -una graziosa renna – ma non ho di certo rimpianto la mia scelta. Da subito, sono stata sorpresa dal suo gusto dolce e zuccherato, che ricordava la banana. È una birra bianca in stile tedesco, ho imparato più tardi che veniva fabbricata con del grano. Mi sono così resa conto che anche in Giappone, si poteva trovare una birra deliziosa, né troppo dolce, né troppo amara.”
Dopo i suoi studi, Noda Ikuko trovò un impiego di receptionist presso un albergo, ma con l’apparizione di Internet, si rese conto che lavorare con un computer le avrebbe permesso la libertà di lavorare dove desiderasse. “Quando ho parlato a un’amica delle mie aspirazioni, lei mi fece notare che amavo i libri e le riviste, che avrei dovuto diventare un’editrice. E ho finito per diventarlo davvero” dice.
Fu assunta per un part-time presso ASCII (oggi ASCII Media Works), una casa editrice specializzata nelle riviste sull’informatica. “Lavoravo per MAC People, una pubblicazione consacrata ai prodotti Apple, rivolta agli utilizzatori principianti o di livello intermedio.
Oggi, la pubblicazione assistita da computer (PAO) è la regola, ma, all’epoca, le riviste di ASCII erano le sole a farvi ricorso. Erano veramente all’avanguardia del progresso. La mia prima opportunità di partecipare a un lavoro legato alla birra fu la serie “Let’s meet at the bar” pubblicata proprio in quel magazine verso il 2003-2004. Incontravamo dei rappresentanti dell’industria informatica per parlare del loro lavoro, bevendoci una birra insieme! Poi un ex collega che sapeva quanto amassi la birra mi disse che prevedeva di organizzare un mook sul tema e mi chiese se volevo contribuirvi. Fu il primo della serie intitolata “Gokujô no bîru o nomô !” (Beviamo la birra migliore).”
All’epoca, le birre straniere suscitavano un entusiasmo particolare, ma i micro-birrifici locali erano generalmente trascurati. “Ho cominciato a fare delle ricerche sui negozi e sui bar specializzati nei marchi belgi, tedeschi e altre etichette straniere”, spiega. “Penso che il principale fattore che ha partecipato alla sensibilizzazione del pubblico verso la produzione artigianale giapponese è stata la catena di bar Craft Beer Market creata nel 2011.
Improvvisamente, vi trovavate a disposizione numerosi locali che proponevano buon cibo e birre che nessuno aveva gustato prima, a prezzi accessibili. Questa catena ha fatto parlare di sé e favorito l’interesse nei confronti delle birre artigianali giapponesi. Grazie a questa catena, il numero di nuovi appassionati di birra è aumentato in maniera significativa”, aggunge Noda Ikuko.
“Da un punto di vista commerciale, non si può dire che la birra artigianale abbia un margine di profitto elevato, a causa degli alti costi di produzione. Quando si tratta di birra straniera, bisogna poi aggiungere i costi di importazione. Ma questi bar hanno introdotto un sistema di prezzi uniforme, su due livelli (attualmente corrisponde a 490 yen (4€) per un bicchiere e 790 yen (6,60€) per una pinta (ossia prezzi molto competitivi), relativamente poco cari per il mercato giapponese. Da questo momento, il numero di bar dedicati alla birra artigianale è aumentato molto rapidamente”.
Secondo lei, questo ha permesso la progressiva trasformazione dell’universo delle birrerie.
“Senza alcun dubbio, ciò rappresenta un’autentica grande tendenza, in questi ultimi anni. È apparso un nuovo tipo di locale che offre un’esperienza completa, offrendo uno spazio dove si può gustare dell’ottima birra e del buon cibo, con ambienti gradevoli e una scelta di birre che evolve nel tempo.
Si tratta di una nuova filosofia: i clienti sono incoraggiati a interagire coi proprietari, quest’ultimi sempre felici di poter condividere le loro conoscenze per aiutarli a scegliere la birra migliore”, sottolinea la giornalista.
Esistono attualmente più di 400 micro-birrifici in Giappone; il mercato della birra artigianale, sebbene ancora modesto, vede una crescita costante. “L’entusiasmo attuale per questo prodotto è cominciato nel 1994, quando il governo ha allentato le regole fiscali”, spiega. Tuttavia, ancora all’epoca molte birre artigianali o jibîru (birre locali) come venivano chiamate, prodotte fino agli inizi degli anni 2000, erano care e mediocri: molti produttori non avevano né l’esperienza, né il savoir faire necessario. Era il genere di birra eccentrica che i turisti potevano essere tentati di acquistare come souvenir, ma non commettevano mai l’errore di comprarla una seconda volta!
“Le cose hanno cominciato a cambiare circa 10-15 anni fa, quando i birrai giapponesi hanno voluto presentare i loro prodotti nelle competizioni internazionali. Il cambiamento più significativo è giunto poi nel 2015, quando le quattro grandi aziende giapponesi hanno cominciato a investire nella fabbricazione di birra artigianale.
Le vendite di birra erano calate da diversi anni, avevano bisogno di un nuovo prodotto che fosse diverso dallo stile abituale della Pilsner che dominava il mercato dagli inizi del XXesimo secolo. Kirin, in particolare, prese il comando delle operazioni cooperando con alcuni micro-birrifici locali e condividendo con loro la sua lunga esperienza e il suo know-how tecnico.

Creata nel 2013, Bîru Ôkoku è l’opera principale per gli appassionati di birra in Giappone. /Tutti i diritti riservati


Questa collaborazione ha contribuito a aumentare considerevolmente la qualità media della birra artigianale in Giappone” afferma Noda Ikuko.
L’esperta si mostra particolarmente ottimista nei confronti del ruolo che Kirin, Asahi e gli altri grandi produttori possono avere nella diversificazione del mercato nazionale della birra. “Ricordatevi di quel che han fatto con l’ happôshu e la birra definita “nuovo genere”. Meritano molto rispetto per aver creato queste nuove bevande decisamente popolari. Detto questo, è un peccato che abbiano utilizzato la loro esperienza e una tecnologia superiore per sviluppare un prodotto come l’ happôshu.
Dopotutto, è nato solo per sviare la tassa punitiva sugli alcolici.
Se volete il mio parere, avrebbero potuto fare un uso migliore delle loro competenze. Senza contare che questi nuovi prodotti hanno favorito una certa confusione, poiché vi sono certe birre straniere (birre autentiche) che, in Giappone, sono etichettate come happôshu, unicamente perché contengono del coriandolo, dei frutti, e perché hanno una bassa gradazione alcolica.”
Secondo la giornalista, l’altro fattore importante che si è prodotto in questi ultimi anni è il cambiamento di mentalità dei produttori di birra artigianale. “Agli inizi, la fabbricazione di birra venne importata dall’estero. Anche il concetto di birra artigianale, nel suo insieme, è nato in Europa, poi è stato adottato, sviluppato e fatto proprio dai fabbricanti americani. Quanto ai produttori giapponesi, per numerosi anni si sono accontentati di copiare la fabbricazione di birra straniera, sia nello stile inglese , che nello stile americano. In questi ultimi anni, hanno imparato a introdurre dei metodi di produzione originali e degli ingredienti locali quali le erbe giapponesi, le alghe, ecc. Il tipo di birra che i Giapponesi sanno produrre molto bene è la birra alla frutta. Ogni regione è celebre per un certo frutto, e i produttori li utilizzano a loro vantaggio. Pesche, natsu mikan (arance amare estive), pompelmi, ecc. I birrai giapponesi sanno trovare alla perfezione il giusto equilibrio tra le caratteristiche della birra e le particolarità dei frutti” assicura.
Quando le si chiede ciò che ama di più nel suo lavoro, Noda Ikuko risponde che è la birra stessa, ma si affretta ad aggiungere che altri elementi sono ugualmente importanti. “Apprezzo il fatto di scegliere diverse birre in funzione di diversi criteri: dove vado a bere, con chi, e con che cibo accompagno la bevanda. Tutti questi elementi devono essere presi in conto poiché rendono l’esperienza ancora più divertente e interessante. Pensateci, la birra è una sorta di strumento di comunicazione. Scegliere una birra rivela un’azione molto soggettiva: è una maniera per conoscere sé stessi e le persone con cui beviamo.
È divertente osservare le scelte altrui, scoprire ciò che preferiscono bere” confida.
La giornalista ama bere nei bar e nei pub perché ognuno di questi locali rappresenta un concetto diverso, e grazie alla gentilezza e alle conoscenze dei barman, scopre sempre nuovi meravigliosi marchi. Purtroppo, la recente crisi sanitaria ha seriamente limitato le sue uscite, ma tenta comunque di sostenere come può l’universo della birra.
“Compro spesso direttamente dai produttori. Confesso di non essermi più recata in un bar da diversi mesi a questa parte, ma ho acquistato un contenitore da cinque litri che faccio riempire al bar per poter gustare la mia bevanda preferita in tutta sicurezza nella mia veranda, in compagnia di mio marito. È il minimo che possa fare per aiutare i professionisti che lavorano in questo campo…e naturalmente per continuare il piacere delle degustazioni.” (ride)
Oltre alle degustazioni di birra, Noda Ikuko ha altri hobby, fra i quali le immersioni subacquee. Ama molto il fatto di poter combinare queste due passioni ogni volta che può. “Baird Beer” ha costruito una fabbrica a Shuzenji, nella prefettura di Shizuoka, nel 2014. Shuzenji si trova in una regione di sorgenti termali sulla penisola di Izu, un vero paradiso per gli appassionati di immersioni.
“Per me, un viaggio a Izu è dunque l’occasione per immergermi al mattino, approfittare delle sorgenti termali durante il pomeriggio e gustare un’eccellente birra artigianale la sera. Il piacere assoluto!”
J. D.