Da qualche anno, i giapponesi manifestano un vero interesse per questa bevanda dalla storia movimentata.
Per la maggior parte degli europei che non hanno mai gustato né sentito parlare del nihon wain (dall’inglese “wine” per “vino del Giappone”), sapere che attualmente sono in gran voga i vini locali giapponesi può sorprendere, come se si trattasse di una tendenza venuta da chissà dove.
La storia del vino nell’arcipelago è assai recente. La sua produzione è cominciata nell’epoca Meiji, alla fine del XIX secolo. La preziosa bevanda, infatti, non è stata da subito apprezzata: il colore rosso, l’acidità ed il sapore, rispetto al saké, hanno inizialmente disorientato i palati nipponici…
Per abituare i giapponesi, nei primi tempi i produttori hanno aggiunto al vino degli aromi e dello zucchero, o mescolato del succo d’uva, dell’alcool e ancora dello zucchero.
L’Akadama port wine è il più rappresentativo fra questi prodotti. È d’altra parte ancora disponibile in commercio sotto il nome di Akadama sweet wine.
È soltanto negli anni Settanta che i giapponesi hanno timidamente cominciato ad avvicinarsi all’universo enologico. L’occidentalizzazione della loro alimentazione ha giocato un ruolo determinante in questo nuovo interesse. Sempre in quest’epoca la consumazione di vini “normali” ha superato quella dei vini zuccherati.
Ma i prodotti dell’epoca erano lontani dall’essere vino di qualità. Si raccoglievano le uve schiacciate o rovinate, quelle destinate alla consumazione da tavola e non le varietà da vino, e se ne facevano vini acquosi. I giapponesi non erano consapevoli della necessità di piantare viti da vino.