C’era una volta il wain…

Specialista del vino giapponese, Tamamura Toyoo difende una produzione che migliori nel tempo. / Célia Bonnin per Zoom Giappone


Gli dicevano che faceva troppo freddo, che c’era troppa umidità per piantare delle vigne: “Se ho potuto lanciarmi nella produzione di vino malgrado le opinioni sfavorevoli, è senza dubbio perché ho cominciato tutto come un hobby, e non per farne il mio principale mestiere. Ho piantato cinque viti trent’anni fa e poco a poco, ho ampliato la superficie dei terreni. Oggi possediamo otto ettari di vigna” racconta con un sorriso.
Il Giappone, grazie alle sue condizioni geografiche specifiche, possiede una grande varietà climatica e ai vignaioli si offrono più soluzioni. Oggi, i vini sono prodotti in regioni molto diverse fra loro. Più della metà della produzione si concentra sempre attorno alle prefetture di Yamanashi e di Nagano, regioni in cui si coltiva tradizionalmente l’uva. Tuttavia, secondo Kakimoto Reiko, giornalista e specialista in vini giapponesi, la prefettura di Yamagata, col riscaldamento globale si rivelerebbe come una regione promettente, e le regioni del nord come Hokkaidô, dove il numero di produttori aumenta, hanno come vantaggio quello di possedere terreni molto vasti. I produttori si trasferiscono anche ad ovest dell’arcipelago, per esempio a Okayama, e sull’isola di Kyûshû, a sud.
“Osservate gli Stati Uniti: il vino non è più prodotto soltanto in California. I vini sono realizzati in condizioni climatiche molto varie, a nord e a sud, nell’Oregon, in Texas o in Arizona. Dappertutto nel mondo, si può produrre del vino. Semplicemente, in certe regioni è necessario occuparsi maggiormente dell’uva e prenderne più cura, come in Giappone. Ben conoscere le caratteristiche climatiche locali ci permette di scegliere i vitigni appropriati. Il nostro lavoro consiste nell’operare delle scelte che convengano al meglio per il nostro territorio, ad ogni stadio della produzione”, spiega Tamamura Toyoo.
Dietro l’attuale entusiasmo per il vino si nasconde il numero sempre più importante di produttori (191 nel 2014, 303 nel 2018), conseguenza di ragioni strutturali. In Giappone, per ottenere la licenza di produttore di alcool, era necessario infatti rispettare una normativa molto rigorosa. Nel caso dei produttori di vino, un minimo di 6000 litri (8000 bottiglie) prodotti erano necessari per l’annata che seguiva l’ottenimento della licenza. Ma dal 2002, il governo ha instaurato un sistema di “zone d’eccezione” e un alleggerimento delle regole per aiutare lo sviluppo del settore.
Da allora, è possibile richiedere una licenza anche per una piccola produzione di 2000 litri (2667 bottiglie). L’instaurazione di questo sistema pubblico ha spinto le banche ad alleggerire a loro volta le condizioni per i prestiti.
Per le produzioni che necessitano in partenza degli investimenti consistenti (acquisto dei terreni per le vigne, delle piante e dei macchinari…), il fatto di concedere licenze a produzioni più piccole ha favorito i produttori e permesso lo sviluppo di piccole realtà artigianali.
Di conseguenza, si assiste alla comparsa di una grande varietà di prodotti. “Da dieci anni a questa parte, osserviamo un’evoluzione drastica: più produttori, più territori, più vitigni, più cuvée. I profili dei produttori sono ugualmente molto vari. Alcuni si sono formati in Europa, hanno studiato nelle università europee, altri hanno imparato da autodidatta documentandosi su internet…” constata Kakimoto Reiko.
Evidentemente, quando si parla di “boom” del vino giapponese bisogna rispettare qualche sfumatura. Così come il successo del saké in Europa, più visibile nei media che nelle cifre concrete di vendita, un giapponese consuma in media soltanto 3,5 litri di vino all’anno, tra vini giapponesi e stranieri.
La vendita di bevande a base di frutta (mele, uva) in generale rappresenta appena il 4,4% del volume dell’insieme delle vendite di bevande alcoliche, e i vini della produzione giapponese occupano solo il 30% di queste vendite. I nihon wain non rappresentano che il 20% della produzione di vini prodotti in Giappone, il resto consiste ancora in vini fabbricati con succo d’uva importato o mix di vini stranieri. Il calcolo è presto fatto.
Nel contempo però, il numero dei produttori aumenta considerevolmente. La maggior parte di loro è rappresentata da piccoli produttori, e visto che gli appassionati di vini giapponesi sono ogni giorno più numerosi, alcune produzioni esauriscono spesso in fretta i loro stock.
Certe bottiglie estremamente contese sono diventate mitiche e quindi molto rare; la situazione è complessa. Alcuni dicono che il momento d’oro di questa tendenza è già stato raggiunto e sono soprattutto gli addetti ai lavori ad emettere giudizi prudenti. Hanno conosciuto diversi momenti di euforia commerciale che ogni volta avevano indotto a sperare che l’universo del vino integrasse la società giapponese in modo definitivo e stabile. E ogni volta sono rimasti delusi.
Questa volta, la situazione è senza dubbio differente.
In altri settori, come quello del pane o del formaggio, prodotti artigianali fabbricati dai giapponesi stessi e adatti ad accompagnare il vino, sono sempre più in voga. Le giovani generazioni sono più sensibili ai circuiti brevi, e non bisogna dimenticare il lato umano. Kakimoto Reiko nota che per gli appassionati di vini giapponesi, la prossimità coi produttori è una qualità fondamentale. Si possono visitare le vigne, si può discutere coi produttori, avvertire una vicinanza con le bottiglie e le loro etichette in giapponese. È lo stesso rapporto che i francesi o gli italiani intrattengono coi loro vini locali. Il sentimento nel consumatore che si tratti del “loro vino”, favorisce la fidelizzazione della clientela nei confronti dei produttori.
Le grandi aziende vinicole in Giappone che per troppo tempo si sono accontentate di produrre vino di cattiva qualità, si convertono finalmente ai “veri vini”. Cominciano a piantare vigne e producono due gamme: i vini popolari – che continuano ad essere il loro biglietto da visita – e vini di buona qualità.
Bruce Gutlove, un newyorchese che ha studiato la biologia alimentare e la fermentazione presso l’Università della California, si è trasferito in Hokkaidô trent’anni fa e ha formato diversi produttori giapponesi. Sotto la sua influenza, i giovani produttori chiamati “Bruce children” producono vini di notevole qualità.