Il progetto di Cibic “Rethinking Happiness” è una ricerca in costante evoluzione sulla natura e sul design di modelli di vita del mondo contemporaneo. In che modo secondo voi il design e l’architettura possono contribuire alla felicità dell’uomo?
Cibic: Il focus di questo progetto è quello di interpretare in modo più allargato il concetto di design attraverso il coinvolgimento attivo nel processo progettuale. In altre parole noi vogliamo sapere dalle persone – la cosiddetta intelligenza collettiva – quali sono le loro paure, i problemi che gli stanno più a cuore e come possiamo risolverli. Nelle città, ad esempio, sta venendo meno il senso di comunità. Ecco, solo attraverso questo coinvolgimento un designer non tradizionale può agire rispetto alle problematiche del suo tempo.
Sejima: Avendo lavorato a molti progetti di architettura pubblica mi chiedo sempre quali siano gli elementi chiave che possono spingere la gente ad usare un luogo pubblico invece di starsene a casa a navigare su Internet. Secondo me è molto importante l’atmosfera generale che si respira. Questa a sua volta è determinata dalla struttura del luogo, la sua posizione e funzione pratica. Lo scopo finale, comunque, è sempre quello di organizzare spazi che facilitino la comunicazione fra le persone.
Cibic: L’architetto danese e studioso di storia urbana Jan Gehl dice che una bella città è come un bel party: la gente ci sta più a lungo e più volentieri perché si diverte. La questione anche qui è individuare i problemi e trovare i modi per ovviare a essi. Quindi bisogna convincere sia gli amministratori pubblici sia gli urbanisti che sono le azioni delle persone che generano l’anima di un luogo e non viceversa.
Che cos’è la casa per voi? Come la interpretate e com’è la vostra casa ideale?
Sejima: La casa è un luogo privato ma allo stesso tempo non è isolato perchè fa parte del quartiere, di una comunità di persone ognuna delle quali fa un lavoro diverso e ha un diverso stile di vita. Esistono quindi una relazione e una continuità fra questi due ambienti. La casa è un luogo fatto di odori e rumori in cui si vivono diverse esperienze. Allo stesso tempo le esperienze di chi ci abita la trasformano in un contenitore di ricordi.
Cibic: Mi riconosco in quello che ha detto Sejima. In questo momento mi interessa di più la comunità che ho intorno, che non deve essere però una comunità settoriale come un gruppo di intellettuali. Ho bisogno più semplicemente di sentire intorno a me il calore delle persone. Non potrei mai vivere in una grande villa in campagna. Da qui nasce la necessità di creare luoghi in cui la gente vuole vivere; in cui la gente sta bene.
C’è un mobile a cui non rinuncereste mai?
Sejima: Personalmente non ho bisogno di molti mobili, soprattutto il mobile come oggetto concreto e fisso che si impone sull’ambiente. Mi piace andare a casa di amici e ammirare il loro arredamento ma in Giappone le case sono così piccole che preferisco qualcosa di più funzionale che posso eventualmente spostare e ri-arrangiare. Sicuramente per lavorare e fare tante altre cose ho bisogno di una superficie piana, come un tavolo, e poi una sedia. Penso che queste due cose siano sufficienti.
Cibic: Il mio sogno è quello di avere un mio spazio personale molto piccolo con poche cose. Anche il tavolo è importante fino a un certo punto perché essendo pigro lavoro meglio su un divano o addirittura a letto. Per me una casa deve essere accogliente come una pantofola.
Intervista realizzata da J. D.