Quindi Nibutani sembra essere una piccola oasi di pace e armonia.
L. L.: In realtà questo è solo uno degli aspetti del luogo. Dall’altro lato la comunità locale non è così unita come potrebbe sembrare. Noi, in quanto estranei, abbiamo avuto il privilegio di apprezzare la compagnia di tutti senza distinzioni. Esistono tuttavia diversi contrasti. Negli anni ’90, per esempio, la costruzione della diga ha spaccato la comunità fra coloro che si opponevano alla modifica di un’area naturale considerata sacra e chi invece vedeva nella diga una fonte di lavoro. Poi c’è il discorso del turismo, che da una parte è una fonte di guadagno ma dall’altra è visto come una svalutazione commerciale della cultura locale. Ad esempio al Shiraoi Porotokan Ainu Museum si può ammirare un totem con dei motivi figurativi Ainu. Il problema è che questo popolo non ha mai praticato il totemismo. Si tratta di un ibrido creato per esigenze di mercato.
In che modo si manifesta l’attivismo che hai citato all’inizio?
L L.: L’attivismo politico, come possiamo concepirlo noi, è piuttosto raro. Si tratta soprattutto di una serie di attività e progetti tesi a difendere la cultura Ainu dall’estinzione totale. La lingua Ainu, ad esempio, è ormai una lingua morta, come il latino, anche perché nel corso dell’Ottocento il governo giapponese l’ha bandita, così come molte usanze e tradizioni locali. Tuttavia c’è chi l’ha imparata (ascoltando delle registrazioni realizzate negli anni ’50) e ancora oggi la insegna ai bambini. La gente del luogo, pur parlando giapponese, usa regolarmente parole ed espressioni Ainu, come i saluti. C’è poi l’aspetto spirituale di questa cultura, che si manifesta particolarmente nel rispetto per il mondo naturale circostante. Tutte le piante e gli animali sono considerati delle divinità e ogni volta che si raccoglie una pianta o si pesca un pesce, li si ringrazia per il sostentamento che ci forniscono.
A che punto sono i due progetti?
L. L.: Quello fotografico è ormai concluso e la mostra all’Istituto di Tokyo rappresenta un po’ un modo per tirare le fila del progetto. Per il documentario, invece, siamo arrivati alla fase di montaggio e di raccolta dei fondi. Ci vorrà ancora un po’ di tempo.
Intervista realizzata da Jean Derome