Faccende di paura

Spettro di Oiwan-san. Stampa di Hokusai, 1831. / DR

Può sembrare curioso, ma i classici elementi horror delle leggende di fantasmi in Occidente, non sono sempre così presenti nei racconti giapponesi. La maggior parte delle volte queste storie evocano un evento ordinario nel corso del quale sopraggiunge un’anomalia. “In generale- spiega Edward Lipsett- si tratta di elementi della vita quotidiana che sono in un qualche modo perturbati da eventi bizzarri. D’altra parte, una buona storia non deve necessariamente includere sangue e paura”. Al di là di questo, sembra che molte storie di fantasmi giapponesi, se non quasi tutte, si ispirino a fatti realmente accaduti. “È necessario aggiungere che una delle loro principali caratteristiche è proprio la confusione tra realtà e finzione”, afferma l’autore americano. La serie in tre volumi, intitolata Kaiki, una delle produzioni più note di Kurodahan Press, approfondisce proprio questa tradizione unica attraverso una collezione di storie, insieme antiche e moderne, che somigliano a degli studi sui sogni, dove i personaggi cercano di dare un senso a situazioni bizzarre nelle quali si trovano coinvolti.
Ciò che contraddistingue il folklore giapponese è la presenza di un cospicuo numero di demoni e di strani esseri chiamati yokai, che sono a metà tra l’horror e il comico. Non realmente umani, ma comunque capaci di provare un ampio ventaglio di emozioni, nella maggior parte dei casi queste creature non sono né buone né cattive. Piuttosto maliziose e birichine, si divertono a fare scherzi alle loro vittime, e avendo il potere di trasformarsi, spesso sono difficili da riconoscere. Forse i più facili da identificare sono i kappa (piccoli come bambini, hanno piedi e mani palmati, la bocca a forma di becco e un cranio con una cavità piena di acqua), i tengu (personaggi dal naso incredibilmente lungo), i bake-kitsune (volpi) e i bake-tanuki (procioni). Gli yokai più famosi di Tokyo sono probabilmente i Nepperabo (i senza volto), dei quali Lafcadio Hearn ha raccontato, nella sua storia Mujina, insieme al piede gigante di Ashiarai Yashiki. I Nopperabo sono degli umani normali, se non fosse per il viso orribilmente liscio e senza tratti. Fino ad un secolo e mezzo fa, li si poteva facilmente vedere sul versante Kinokuni d’Akasaka, considerato come uno dei più spaventosi della città. L’Ashiarai Yashiki, invece, è legato all’apparizione di un piede gigante, coperto di fango, che pare sia sbucato all’improvviso dal soffitto, una notte, esigendo di essere lavato. La leggenda narra che una prima apparizione di questo genere ebbe luogo in un maniero del distretto di Honjo, a Edo, che corrisponde attualmente al quartiere di Sumida, a Tokyo. Un’altra categoria di esseri soprannaturali spesso mischiata agli yokai, comprende gli obake o bakemono, un termine sovente tradotto con fantasmi, anche se non sempre coincidono con esseri morti. Secondo le tradizioni scintoiste e animiste, gli obake possono appartenere al mondo animale o vegetale, come i bakeneko (il gatto che si trasforma) e il kodama (la pianta che spaventa), mentre gli tsukumogami sono oggetti domestici. Tutti questi spiriti e mostri hanno influenzato il mondo della cultura popolare e del divertimento; un esempio celebre è l’obake karuta, un gioco di carte diffuso tra il periodo Edo e il 1920, che potrebbe essere considerato come il precursore delle carte Pokemon e i cui personaggi sono direttamente ispirati alle creature della mitologia giapponese. Più recentemente, il rimpianto mangaka, Mizuki Shigeru, ha inventato, nel 1959, la serie Kitaro dei cimiteri (GeGeGe no Kitarô), nella quale, non solo il protagonista (che ha 350 anni e un occhio solo) e suo padre (il fantasma Medame Oyaji, ovvero Papà Bulbo Oculare), ma tuti i personaggi sono yokai. Seppure molto famosa in patria, questa serie non ha riscosso grande successo all’estero, neanche tra i più appassionati amanti dei manga che vivono fuori dal Giappone, probabilmente a causa della sua estema singolarità.

La vecchia avida e la scatola dei demoni. Stampa di Tsukioka Yoshitoshi, 1865. / DR

Jean Derome