SOCIETÀ : Hafu, l’altro Giappone

Da bambino trascorreva tutte le estati in Giappone. “Il mio fisico era diverso dagli altri. Mi ponevano senza sosta domande sull’Europa” ricorda. Miyazaki Tetsurô si interroga sulle storie personali degli altri “meticci” giapponesi. Per questa ragione, ha lanciato il progetto fotografico Hâfu2Hâfu. La sua idea è quella di raccogliere le testimonianze e i ritratti dei meticci giapponesi, nati o meno nell’arcipelago. Il suo obiettivo è di arrivare a 192 ritratti. “Ogni volta, chiedo loro di formulare una domanda agli altri hafu. Ho ricevuto molti messaggi durante la creazione di questo spazio di dialogo”. Miyazaki Tetsurô è arrivato a una serie di constatazioni: “Esistono grandi disparità fra le persone hafu. Le differenze fisiche giocano un ruolo importante nell’integrazione e nell’accettare la propria parte giapponese. I meticci cresciuti fuori dall’arcipelago ad esempio, amano molto parlare di cibo giapponese, ne sono affascinati. Per coloro nati in Giappone, è più difficile questo rapporto sereno con la cultura nipponica poiché un meticcio è visto come uno straniero. Io sono nato a Bruxelles e vivo in Olanda da vent’anni. Ma quando si è nati e cresciuti in Giappone, quando la lingua materna (la sola parlata) è il giapponese, la differenza di trattamento è presente e ingiusta. Ho sentito molte vicende di persone che sono state umiliate a scuola o sul posto di lavoro a causa delle loro origini”, racconta. È stato il caso di Julie-Sayaka Pelaudeix, 23 anni, hafu per metà giapponese e per metà francese. Sei mesi fa, ha deciso di venire a vivere a Tokyo per scoprire questa cultura alla quale è così intimamente legata, ma che aveva scoperto solo durante brevi soggiorni. “Dopo sei mesi, mi sono resa conto che il ritmo di vita e la mentalità giapponese sono totalmente diversi da quelli francesi… Le mie prime settimane in Giappone sono state molto dure e volevo tornare a Parigi. Mi sentivo infinitamente sola. Oggi, ho sempre il desiderio di tornare in Francia, ma sono ugualmente convinta che un giorno tornerò in Giappone e per un periodo di gran lunga superiore a sei mesi”.
Durante il suo soggiorno, ha realizzato diverse esperienze professionali. “La prima è andata benissimo. La seconda, molto meno. Mi sentivo esclusa dai colleghi. Mi parlavano in malo modo. Quando ne ho discusso con la mia responsabile, mi ha detto che non dovevo prendermela con loro, poiché non sapevano come rivolgersi a una straniera. Mi sono sentita ferita”. Se Julie ha apprezzato il confort della vita tokyoita, le dispiace tuttavia dover ammettere che “la gentilezza giapponese è un dovere collettivo, più che un reale sentimento umano”.