C’è stata un’evoluzione ?
T. K. : Non esattamente. Certo, dopo il 2003, disponiamo della Top League con 16 squadre, ma si tratta sempre di un campionato corporativo: tutte le squadre sono proprietà di grandi imprese e, a parte qualche fuoriclasse straniero, solo un piccolo numero di giocatori giapponesi è rappresentata da veri professionisti. In altri termini, la maggior parte dei giocatori pratica il rugby ancora a un livello amatoriale.
Gli incontri della Top League non hanno niente di paragonabile alle partite professioniste di baseball o di calcio, ma riescono tuttavia ad attirare tra le 10.000 e 30.000 persone, e non è poco.
Bisogna poi sapere che, contrariamente alle altre federazioni sportive, il successo del rugby d’impresa in Giappone non significa che otteniate più pubblicità, più diritti televisivi o più opportunità per promuovere la vostra marca. Al contrario, disporre di una squadra performante significa in sostanza spendere di più: più viaggi, più campi di allenamento, stipendi migliori per i giocatori professionisti, ecc. Se siete una grande impresa come Toshiba o Toyota, potete permettervelo, ma se non avete queste possibilità, correte il rischio di dover sciogliere la vostra squadra di rugby per via delle difficoltà finanziarie.
Per molto tempo la squadra giapponese aveva una posizione mediocre nella classifica mondiale. Dal 2010 ha cominciato a risalire la china fino a raggiungere la top 10 dopo la sorprendente performance ottenuta durante la Coppa del Mondo 2015. Oggi, il Giappone occupa l’undicesimo posto. Cosa è successo in questo decennio ?
T. K. : Prima di tutto, il livello generale della Top League lanciata nel 2003 è progressivamente migliorato. Abbiamo oggi giocatori fisicamente più forti, tecnicamente migliori, capaci di allenarsi quotidianamente. Il livello più alto delle competizioni ha attirato allenatori più qualificati e molti giocatori stranieri. Inoltre, nel 2011, alla testa della squadra nazionale è arrivato Eddie Jones. Nel 2003, era riuscito a portare l’Australia alla finale dei Mondiali ed era stato consulente tecnico del campione del mondo, il Sudafrica.
La madre e la moglie di Jones sono entrambe giapponesi. Al momento della sua nomina poi, allenava la squadra di Suntory. Il suo impatto sul rugby giapponese è stato davvero così determinante?
T. K. : Non ci sono dubbi. Quando è stato nominato, Jones ha dichiarato che il Giappone avrebbe partecipato alla Coppa del Mondo nel 2015 e che avrebbe fatto di tutto per vincere ogni partita. Dall’inizio aveva fissato un obiettivo molto ambizioso per una squadra il cui record era rappresentato da una vittoria, due match nulli, e 21 sconfitte. Ma ci credeva e vegliava a che il Giappone esprimesse appieno tutto il suo potenziale. Ad esempio, i giocatori giapponesi sono forse più minuti degli avversari, ma sono rapidi e Jones pensava che lavorando sulla loro forza, la tattica di squadra e il loro approccio mentale al gioco, avrebbero potuto superare questo handicap fisico. Il miglior successo di Jones è di aver continuato a vincere continuando a dar fiducia ai giocatori locali.