La sua famiglia è ben presto diventata un esempio e ha spinto molte altre persone di Osaka, di Nara, di Tokyo e di Yamanashi ad unirsi alla Ueyama Shuraku, un’associazione no-profit creata nel 2011 per riportare in vita le risaie. Quesi volontari sono andati a vivere in vecchie case rimaste vuote, portando le loro famiglie e le loro attività via dalle grandi città dell’Arcipelago. Con il loro lavoro è stato ripristinato quasi il 30% delle 8300 risaie su terrazzamenti del paese, ovvero una superficie di circa cento ettari, e a partire dal 2015 è ricominciata la produzione locale di riso. La comunità non si limita a questo, ma produce anche grano, grano saraceno, verdure e frutta. Tra maggio e giugno tutti si rimboccano le maniche per piantare il riso a mano, secondo l’antica tradizione, sotto l’occhio vigile degli anziani del villaggio, finalmente felici di vedere all’opera i nuovi abitanti che temevano non sarebbero mai arrivati. “Questo abitante ha più di 90 anni, vive da solo, ma sa che ormai è in buona compagnia, quando è il momento di piantare il riso non si tira mai indietro”, racconta Matsubara Tetsuro mentre dalla macchina ci indica una casa.
La vera forza di questa comunità si trova negli strettissimi legami che gli abitanti hanno saputo creare. “Quando abitavo in città non conoscevo i miei vicini”, ci spiega Umetani Masashi, originario di Nara, ma che vive ad Ueyama da 8 anni “qui nessuno vive a meno di cinquanta metri da casa mia, eppure non c’è persona che io non conosca, siamo 150 e ci conosciamo tutti perfettamente, per me questa atmosfera di gruppo è fondamentale e mi invoglia a migliorami ogni giorno”.
Dopo aver studiato agricoltura all’università di Okayama, città principale dell’omonima prefettura, ha cercato un progetto che lo ispirasse e che gli permettesse di “essere d’aiuto e spendere tutto me stesso”, Ueyama l’ha conquistato sin da subito e ci si è trasferito come giovane agricoltore. Qui costruisce anche oggetti con la pelle dei cervi, che caccia nella montagna vicina. “Ci sono molti cervi e cinghiali qui vicino, sono una preoccupazione continua perché potrebbero rovinare il raccolto sui terreni in cui passano. Noi li cacciamo ed io ho imparato a lavorare il cuoio”. Umetani Masashi dedica molte energie per l’associazione ed è incaricato di promuovere turisticamente il villaggio. “Alcuni tra di noi, come me e la mia famiglia, hanno aperto le proprie case per il minpaku, ovvero l’accoglienza dei visitatori: a venire da noi sono specialmente famiglie che vivono a Tokyo e vorrebbero cambiare vita, anche solo per tre o quattro giorni; nelle loro giornate frenetiche hanno la sensazione di non vivere appieno e di dimenticare come fosse il Giappone di ieri, a causa delle nuove tecnologie, più pratiche e più comode. Noi siamo qui per aiutarli a ricordare tutto questo e a sentire la terra tra le mani”, dice sorridendo, prima di aggiungere ”vogliono davvero sapere come si produceva una volta il riso e provare a vivere in una piccola comunità”. Due trentenni e i loro figli vengono qui dalla capitale per il weekend, attirati dalla festa organizzata dal campeggio del villaggio. Si è anche improvvisato un atelier di yoga, mentre di fianco si cuoce la selvaggina. Nonostante il freddo i bambini corrono e giocano e chiunque sembra felice di condividere questo bel momento. “Organizziamo questi incontri per raccontarci quello che già facciamo, ma anche per discutere di future possibilità di sviluppare il villaggio”, precisa Umetani Masashi.