In un’altra rivista ha chiesto ai proprietari di un bistrot di descrivere un’annata di sakè aiutandosi con delle metafore, comparando la bevanda a un uomo o a una donna, con tanto di aggettivi e espressioni più o meno fantasiose (“nobile e discreto, la gioventù dinamica, la ragazza che si può presentare a tutti, l’uomo il cui vecchio pullover lavorato a maglia attribuisce uno charme indiscutibile…“). L’editrice ha poi consacrato una lunga riflessione di sedici pagine sulla parola karakuchi (letteralmente: salato, piccante, ma usato anche come sinonimo di “secco“): significa dunque che il gusto è alcolizzato, poco zuccherato, leggero, metallico? Al contempo accessibili al grande pubblico e piacevoli da leggere, le sue pubblicazioni possono venire considerate come autentici manuali di espressioni gustative.
I lettori scoprono così la possibilità di esprimere lo stesso gusto in diversi modi, e gli “esperti”, gli chef e i cavisti intervistati, sono invitati a trovare le parole adatte per descrivere in maniera personale il sakè che stanno bevendo o che apprezzano particolarmente.
Per Kanako, arricchire il mondo del sakè con le parole, è una vera e propria missione.
Il suo desiderio di trasmettere l’arte di esprimere il gusto non si limita al giapponese. In uno dei suoi mook, ha introdotto infatti delle espressioni in inglese su una decina di pagine, con alcune parole chiave come “vivido, grana fine, astringente, ampio respiro, chiaro, marshmallow, penetrante, dal profumo di legno, torbido”. L’editrice ammette che fino ad oggi il vocabolario del sakè si era appoggiato essenzialmente a quello del vino per rendere certi gusti comprensibili.
Ma dal momento che attualmente sono gli stranieri ad interessarsi all’universo del sakè per conoscerlo più in profondità, è tempo di creare un lessico adeguato ed espressioni ad hoc per meglio apprezzare, riconoscere i gusti che non si sono apprezzati secondo il loro giusto valore e per infine poter descrivere un mondo con più precisione e sfumature.
Sekiguchi Ryôko