L’azienda ha adottato una multi-strategia che le permette di affrontare il futuro con una certa serenità.
Si dice che il cane sia il migliore amico dell’uomo, ma in Giappone, e in un numero crescente di altri Paesi, gli amanti della birra preferiscono il qilin, una mitica creatura cinese a testa di drago e dal corpo di cervo. La sua pronuncia giapponese, kirin, è diventata ugualmente il nome di uno dei principali produttori di birra in Giappone: la sua rappresentazione appare su tutte le bottiglie e su tutte le lattine. È anche vero che la Kirin Brewery Company, Ltd. offre una vasta gamma di prodotti: dal chûhai o Chu-Hi, abbreviazione di shôchû highball, una bevanda costituita da un mix di alcol distillato con acqua frizzante e limone, a alcolici di diversa natura, senza contare il whisky, che ha recentemente attirato parecchia attenzione sulla scena internazionale.
Tuttavia, Kirin è soprattutto conosciuta per la sua vasta gamma di birre. L’impresa commercializza due fra le birre più popolari del Paese: la Kirin Lager e l’Ichiban Shibori (conosciuta all’estero con il nome di Kirin Ichiban).
Fondata nel 1907, Kirin è considerata come la rappresentante della birra giapponese tradizionale, sebbene il suo predecessore, la Japan Brewery Company, fosse in effetti creata nel 1885 dopo la ripresa degli attivi della Spring Valley Brewery, fondata a Yokohama nel 1869 da William Copeland, un birraio americano di origine norvegese.
La Kirin Lager, uno dei prodotti più venduti della società, venne lanciata all’epoca dei pionieri, nel 1888, in un momento in cui la birra non era ancora molto diffusa in Giappone.
Era fabbricata con strumenti, cereali e luppolo maltato provenienti dalla Germania. Gli ingegneri tedeschi produttori di birra erano allora invitati in Giappone per fabbricare birra autentica.
“La Kirin lager è stata il punto di inizio della cultura monozukuri (passione nel creare degli oggetti) propria alla nostra impresa”, confida Takashima Ataka, responsabile della comunicazione.
“Da allora, non abbiamo cessato di affinare le nostre tecniche di produzione per offrire la migliore qualità possibile.”
Nel 1990, gli sforzi dell’azienda sono sfociati nella creazione di quella che è considerata come la birra-simbolo di Kirin, l’Ichiban Shibori. “È la prima birra di questo tipo al mondo” assicura M. Takashima. “È prodotta utilizzando unicamente il primo mosto che cola dall’orzo. È un procedimento impiegato raramente, che permette di assaporare il vero sapore dell’orzo.”
Kirin è ugualmente leader nella categoria degli happôshu (letteralmente “bevanda alcolizzata frizzante”), una birra a basso tenore in malto lanciata sul mercato giapponese nel 1994. In questo settore, la Kirin Tanrei è la più venduta a livello nazionale.
Attualmente, la produzione totale della società si divide pressapoco a parti uguali tra la birra (39%), l’happôshu (28%) e la birra definita “nuovo genere” (33%), mentre i principali concorrenti hanno tendenza a concentrarsi sia sulla birra tradizionale (Asahi e Sapporo), sia sulla birra “nuovo genere” (Suntory).
“Oltre ai nostri prodotti di base, come la Kirin Ichiban, sviluppiamo prodotti che rispondono alle diverse esigenze dei nostri clienti”, sottolinea Takashima Ataka.
“Ci concentriamo ugualmente su prodotti con debole tenore di zuccheri e di purine, e su prodotti a base di birra senz’alcol, per rispondere alle aspettative dei clienti attenti alla loro salute.”
Secondo l’addetto stampa, le modifiche alla tassa giapponese sull’alcol promosse nell’ottobre scorso, divideranno probabilmente il mercato in due gruppi. Il primo fondato sul prezzo e l’altro (definito “birra-funzionale”), composto da bevande concepite come “healthy”, con effetti benefici sulla salute (ad esempio, le birre senza zuccheri e senz’alcol). Oggi, questo tipo di birra rappresenta più del 32 % del mercato e include l’ happôshu e le birre “nuovo genere”.
Kirin detiene il 41% del mercato totale.
“Pensiamo sia importante creare marchi che i clienti possano sostenere in ogni categoria”, nota M. Taka-shima. “La Kirin Ichiban Shibori ha un mercato prospero come d’abitudine nella categoria standard, mentre nella categoria economica, ci concentriamo sulla Honkirin e sulla Kirin Nodogoshi Nama.
L’anno scorso, ad esempio, le vendite della Honkirin sono aumentate del 60 %. Questa bevanda è molto apprezzata per il suo gusto intenso e corposo, sebbene non si tratti di una birra ricca di malto, ma di un prodotto di un genere nuovo. Nella categoria definita funzionale, sviluppiamo marchi come Kirin Tanrei Green Label, una birra priva di alcol.
Le birre senz’alcol rappresentano circa il 5% dell’insieme delle bevande alcoliche sul mercato giapponese. Sebbene possa sembrare poco, la loro quota è aumentata del 3% nel corso degli ultimi tre anni, e pensiamo che la tendenza sia destinata a progredire”, aggiunge.
Il mercato della birra artigianale è un altro settore che conquista lentamente popolarità in Giappone, soprattutto presso le giovani generazioni, nonostante, secondo un sondaggio di Kirin, la sua importanza sia ancora limitata, con 0,9% del volume totale delle vendite.
Nel 2014, dopo aver visto lo scarto aumentare col concorrente e leader Asahi, in termini di quote di mercato attribuite a ciascuno, scarto dovuto (secondo certi osservatori) all’assenza presso il segmento di birre premium Kirin, di un prodotto-simbolo, il gigante della birra ha deciso di reagire adottando un approccio diverso, tornando alle origini delle tradizioni di produzione, entrando nell’arena della birra artigianale. Resuscitando il nome originale dell’impresa fondata nel 1869, la società ha lanciato una filiale autonoma chiamata Spring Valley Brewing. Un anno dopo, alcune birrerie aprivano a Tôkyô e a Yokohama.
“Nel 2016 abbiamo sancito un’alleanza con il pioniere americano della birra artigianale, la Brooklyn Brewery, per sviluppare il Tap Marché, un sistema di spillatori che forniscono quattro tipi di birra artigianale per unità”, spiega M. Takashima.
“Fino ad oggi, siamo riusciti a distribuirli in più di 13.000 bar e ristoranti in tutto il paese. Il numero di birrifici coinvolti è passato a dodici, allargando così la scelta a 26 tipi di birra diversi”. Questa iniziativa ha valso a Kirin il ricevimento del Premio dei Ristoratori giapponesi nel 2019 per compensare gli sforzi in favore della diffusione della birra artigianale sull’insieme del territorio nazionale.
Quest’anno, la pandemia di Covid 19 ha toccato tutti i settori dell’economia giapponese, compreso il mercato della birra. Tanto la produzione che la distribuzione hanno dovuto affrontare numerosi problemi tecnici e sanitari, sia le vendite che la consumazione di birra ne hanno sofferto.
Tuttavia, secondo il rappresentante di Kirin, le cose vanno meglio del previsto. “Se le vendite nei ristoranti e nei bar hanno subito un calo, quelle registrate nei centri di grande distribuzione come gli ipermercati i supermercati sono aumentate, visto che sempre e più persone amano bere a casa, in ragione delle misure restrittive imposte dal distanziamento sociale.”
Fra le iniziative prese per l’anno fiscale 2020 che terminerà in marzo, l’impresa si concentra su una strategia a lungo termine, immaginata per la prima volta tre anni fa e chiamata “gestione del CSV”.
“CSV è l’abbreviazione di Creating Shared Value, poiché desideriamo creare un valore che possa essere condiviso con la comunità. Nel 2017, abbiamo ribadito il nostro impegno nell’affrontare tre questioni sociali importanti: la salute e il benessere, l’impegno per la comunità, l’ambiente. In altri termini, vogliamo che la società giapponese e la nostra impresa si sviluppino in armonia.”
Nell’ambito delle sue iniziative in favore dell’ambiente, per esempio, Kirin aumenta il numero delle fabbriche fornite di pompe a calore, per raggiungere il suo obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 30%, entro il 2030.
Per quanto riguarda l’impegno sociale e ambientale, nello sforzo di migliorare la qualità del luppolo giapponese e stabilizzare l’approvvigionamento, la società lavora con le collettività locali e gli agricoltori, al fine di costruire un sistema di produzione compatibile con l’ambiente, avente come obiettivo la produzione di 100 tonnellate di luppolo giapponese nel 2027.
“Sviluppiamo ugualmente campagne in favore di una consumazione responsabile e una nuova cultura dello “slow drink”, assicura Takashima Ataka. “La nostra nuova gamma di bevande non alcoliche fa parte della nostra risposta alla sensibilizzazione dei consumatori sulle questioni legate alla salute e al benessere.
Kirin Greens Free, per esempio, è fabbricata solo con tre ingredienti: il grano, il luppolo e l’acqua. È la prima birra giapponese a non contenere alcun additivo, quali gli aromi e gli edulcoranti artificiali generalmente impiegati per creare un gusto simile a quello della birra.”
La percezione comune, la più condivisa, a proposito della birra senz’alcol, una volta era in genere quella di un povero surrogato della birra autentica. Malgrado ciò, sempre più consumatori la scelgono, dal momento che così possono apprezzare il gusto della birra e della sua carbonatazione, senza gli effetti nocivi.
“E non dimentichiamo il fattore economico. Con la riforma della tassa sugli alcolici, speriamo che i consumatori di birra siano numerosi nel dedicare attenzione alle birre non alcoliche” si augura. In effetti, nel corso degli ultimi 15 o 20 anni, le vendite di birra e di happôshu sono precipitate in Giappone, a causa dei cambiamenti di abitudini delle nuove generazioni. Kirin ha seguito la tendenza nazionale. Le vendite di birra nel 2019, per esempio, sono scivolate verso il basso con un – 4,9%, mentre le vendite di happôshu hanno registrato un calo del 6,9%. Nello stesso tempo, le bevande “nuovo genere” sono aumentate del 9,2%.
“Elaboriamo una strategia per creare un nuovo ambiente favorevole alla scoperta e alla consumazione della birra, collaborando con diverse scene artistiche e musicali” spiega il responsabile della comunicazione di Kirin. “Il nostro obiettivo è quello di conquistare la fiducia dei ventenni e dei trentenni, che non sono particolarmente tentati dall’universo della birra. Detto questo, siamo particolarmente ottimisti quanto alla crescita del mercato delle bevande non alcoliche al gusto di birra. Il nostro obiettivo per quest’anno è di raggiungere un aumento delle vendite del 22% in questa categoria.”
C’è da aggiungere che Kirin è riuscita ad entrare con successo, nel corso degli anni, nei mercati stranieri grazie a una serie di acquisizioni strategiche e a vari partenariati.
Ad esempio, la società detiene una partecipazione del 100% nella Lion Nathan Limited, una fabbrica di birra australiana che opera soprattutto in Cina.
Kirin detiene ugualmente una partecipazione del 48% nel birrificio San Miguel, il più importante produttore di birra nelle Filippine, mentre nel 2006, conquistò il 25% del capitale della società cinese Hangzhou Qiandaohu Beer Co. Tra il 2011 e il 2017, Kirin ha detenuto il secondo più grande produttore brasiliano, Brasil Kirin, dopo averlo acquistato a Schincariol. L’ha in seguito rivenduto a Heineken.
Da circa 40 anni, l’Europa riveste un ruolo importante nelle attività della società all’estero. Fondata nel 1983 a Düsseldorf, in Germania, Kirin Europe è stata fin dall’inizio un ufficio di rappresentanza per sostenere l’approvvigionamento in luppolo e altre materie prime, e per fornire una vasta gamma di servizi. Ancora oggi, una delle sue principali attività consiste nel raccogliere le più recenti informazioni tecnologiche in Europa, culla della produzione della birra.
Nel 1991, è stata creata la società Kirin Europe GmbH (KEG) e, due anni più tardi, ha cominciato a vendere prodotti del marchio Kirin in Europa. “Dal 2010, il nostro partner attuale, il birrificio di Weihenstephan, conosciuto come il più antico birrificio al mondo, ha cominciato a produrre localmente la birra Kirin Ichiban”, sottolinea Takashima Ataka. “Siamo stati il primo marchio giapponese a essere prodotto in Germania, regolamentato dalla legge sulla purezza della birra. Commercializziamo attualmente i nostri prodotti in 29 paesi, principalmente in Europa, ma anche in Medio Oriente e in Russia, attraverso distributori di prodotti alimentari giapponesi e distributori locali.”
Kirin ha poi esternalizzato la fabbricazione e la vendita a birrifici partner sotto licenza nel Regno Unito. Grazie al suo soft power, la cultura e la cucina del Giappone sono ormai apprezzate in Europa e nel mondo intero, e Kirin prevede di sviluppare la sua impronta diffondendo l’immagine dell’artigianato tradizionale nipponico.
“In Europa, siamo stati confrontati agli stessi problemi legati al coronavirus dell’Arcipelago”, ricorda. “Visto che i ristoranti giapponesi, nel cuore dei circuiti di vendita, sono stati fortemente impattati dalla crisi, ci stiamo concentrando sull’ampliamento dei nostri circuiti di vendita attraverso il commercio online e il commercio al dettaglio”, conclude.
G. S.