“Mi interessa sempre vedere la reazione del pubblico. Sicuramente non si aspettano queste cose a cominciare dalle dimensioni di certe mie sculture. A volte tutto l’ambiente espositivo è coperto di carta. E poi c’è appunto l’elemento tridimensionale su cui io insisto spesso ma che molta gente non si aspetta quando pensa alla carta. Spero che per loro costituisca un’occasione per fare una pausa di riflessione”.
Le sue opere più recenti sono invece forme geometriche in resina trasparente che includono variamente della carta giapponese resa visibile dalla luce a led che è parte integrante dell’opera stessa. “Quando la forma nata dall’immaginazione dell’artista si fonde con le qualita di ciascun materiale”, dice Akiyama “prende vita qualcosa che trascende l’impressione che si imprime nella nostra mente; che trascende l’opera artistica stessa”.
Recentemente Akiyama si è anche cimentato con il teatro, creando scenografie e costumi di carta per Aoi, di Kawamura Takeshi.
Il lavoro di Akiyama recupera la gestualità antica, fatto di pazienza e silenzio. “Per me è molto importante la manualità come modo di produrre le cose. A volte mi chiedo: se un giorno rimanessimo senza elettricità sapremmo cavarcela? Ora, al di là di questa visione un po’ apocalittica, credo che sia ancora importante sapere come si fanno le cose a mano. Io da parte mia mi sono posto il compito di tramandare la tecnica tradizionale della produzione di carta.
“L’espressione giapponese onko chishin significa ‘indagare il vecchio per conoscere il nuovo’: insegna che nuove conoscenze e nuovi modi di vedere nascono dallo studio delle cose del passato; che non dobbiamo svalutare considerandole “cose vecchie”. Lungo le strade tracciate dai nostri antenati ci sono ancora elementi che aspettano di essere raccolti, elementi che aspettano di diventare materiale per costruire il futuro”.
G. S.