Essere giapponesi nel XXI secolo

Uno dei simboli del Giappone: il conformismo. / Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone


Ricordiamoci che appena tre decenni fa, la potenza economica del Giappone suscitava un violento rigetto causato dal timore di veder “il modello giapponese” (che era tuttavia poco conosciuto) imporsi in Europa. Tanto queste paure erano perlopiù infondate, tanto l’entusiasmo odierno (benché preferibile) non si fonda su una vera conoscenza dell’arcipelago.
Come ha scritto il giornalista Marcel Giuglaris, nel 1958, come introduzione al suo libro Visto per il Giappone: “in Giappone esiste un solo Monte Fuji, meno di mille geisha, e non esistono più samurai in costume da novant’anni. Esistono però novanta milioni di giapponesi. Il monte Fuji, le geisha, i samurai, l’harakiri, la delicatezza dei colori di una manica di kimono hanno ispirato numerose opere straniere. I novanta milioni di giapponesi molto meno. Oggi parleremo di loro.”
L’attualità ci mostra come in effetti i giapponesi rimangano piuttosto misteriosi agli occhi della maggior parte degli europei.
Il recente affare Carlos Ghosn ne è forse la migliore illustrazione. L’arresto e la custodia cautelare prolungata a carico dell’ex patron di Renault-Nissan hanno generato numerosi commenti sul Giappone che hanno rivelato sovente una vera carenza a livello di conoscenza sulla società locale.
Ruth Benedict nota giustamente, nel suo Il Crisantemo e la spada, pubblicato nel 1946, al termine della Seconda Guerra Mondiale, che “uno degli handicap del ventesimo secolo è che abbiamo ancora una serie di nozioni vaghe e riempite di pregiudizi, non soltanto su ciò che fa del Giappone una nazione di giapponesi, ma anche su ciò che fa degli Stati Uniti una nazione di americani, della Francia una nazione di francesi, della Russia una nazione di russi”. Oggi la sua considerazione resta valida nella misura in cui questa attitudine non ci consente “la minima opportunità di scoprire le abitudini e i valori altrui. Se ci concedessimo questa opportunità, ci accorgeremmo che un’attitudine non è per forza negativa soltanto perché non corrisponde alle nostre aspettative. Le lenti attraverso le quali una nazione osserva la vita, non sono le stesse utilizzate dalle altre nazioni. È estremamente difficile essere consapevoli dello sguardo con cui osserviamo le cose: ogni nazione ha uno sguardo stereotipato, e non si mette in discussione.”
Grazie all’entusiasmo di gran parte del mondo per il Giappone, come lo dimostra l’esplosione del turismo di massa nell’arcipelago in questi ultimi anni, molte persone manifestano il desiderio di meglio comprendere gli abitanti. Sono alla ricerca della chiave giusta per decriptare i codici di una società profondamente diversa dalla loro. Nel 1998, nel corso della Coppa del Mondo di calcio in Francia, numerosi reportage sono stati consacrati ai tifosi nipponici che, dopo la partita della loro squadra, rimanevano allo stadio per pulire gli spazi che avevano occupato durante il match. Questo atteggiamento suscitava una certa ironia, ma, col tempo, si è infine capito che i giapponesi, “questi esseri eminentemente sociali” come li definisce Jean-Marie Bouissou nella sua ultima opera Le lezioni dal Giappone (Fayard Edizioni in Francia), sono profondamente attenti al prossimo. Ciò condiziona in gran parte il loro comportamento. Considerando la sua attenta osservazione del comportamento degli studenti giapponesi e dei loro omologhi francesi in soggiorno nell’arcipelago, l’ex direttore di ricerca presso la facoltà di Scienze politiche a Parigi nota con giudizio che il gruppo di ragazzi francesi “si esercita a fare qualcosa per la società, ma seguendo i propri desideri e alle proprie condizioni”, mentre i giapponesi “in ranghi ordinati imparano a saper fare società, tutti allo stesso modo, sotto il controllo dei più anziani”. Il professore mette in avanti il famoso conformismo nipponico, ma si chiede se saper fare società non sia quanto c’è di meglio per quest’ultima.
Si torna regolarmente a tentare di formulare un giudizio sui valori giapponesi, ma ne vale davvero la pena? Questo significa talvolta voler fare accettare certi comportamenti ai nipponici, che li rifiutano in nome di quel conformismo al quale gli Occidentali non sono abituati nel quotidiano (o quasi).