Essere giapponesi nel XXI secolo

A fine aprile, il settimanale Newsweek Japan pubblicava il ritratto di 100 giapponesi fra i più conosciuti al mondo.


Sulla quarta copertina di Lezioni dal Giappone, c’è scritto: “il conformismo uccide il dinamismo, la creatività e i sogni”. Un’affermazione perentoria e senza fondamento se si considera soltanto la capacità d’innovazione dell’industria giapponese, l’influenza della cultura popolare nipponica o ancora la varietà della produzione letteraria locale. D’altra parte, questo atteggiamento tipico dei giapponesi non significa che la loro società sia statica. Al contrario, la società evolve e cambia rapidamente, soprattutto in questi ultimi tre decenni in cui il Paese asiatico ha cercato sempre più di integrarsi alla comunità internazionale.
La fine della guerra fredda ha condotto le autorità a seguire il cammino della mondializzazione dopo aver voluto difendere il Paese dalle influenze straniere. Non erano giuntci ad ammettere persino, in passato, che la qualità della neve giapponese era diversa e quindi non adatta al materiale da sci straniero?
Ormai i trattati di libero scambio come quello firmato l’anno scorso con l’Unione Europea costituiscono la norma. Le imprese nipponiche sono dirette da amministratori stranieri e viene evocata la necessità di aprire maggiormente le frontiere alla manodopera venuta da fuori.
Questo implica delle conseguenze sulla società giapponese e sul comportamento dei suoi membri. Molti sono destabilizzati da tutti questi cambiamenti e non sfuggono, come in altri Paesi, alla tentazione del ritorno al passato e ai cosiddetti valori “tradizionali”. La situazione è dunque permanentemente confusa: non basta soltanto osservare come i giapponesi si comportano di fronte a questa realtà, bisogna soprattutto astenersi dall’emettere un’opinione definitiva. I giapponesi non sono né migliori né peggiori di noi. Con tutto ciò in mente, abbiamo deciso di costruire questo reportage.
Odaira Namihei