Cinema : Il Giappone di Wes Anderson

Il sindaco Kobayashi assomiglia moltissimo a Toshiro Mifune, l’attore feticcio di Akira Kurosawa, nel film Anatomia di un rapimento (Tengoku to Jigoku, 1963). / TM & © 2018 Twentieth Century Fox Film Corporation. All Rights Reser

Premiato al Festival di Berlino, L’Isola dei Cani mostra quanto il regista americano ha saputo cogliere l’anima giapponese.

Di primo acchito, L’Isola dei Cani, l’ultimo film di Wes Anderson, potrebbe apparire come l’ ennesimo tentativo di un regista straniero di svelare il mistero dell’anima giapponese. Altri prima di lui hanno cercato di “capire” il Giappone nella speranza che quest’ultimo figurasse meno esotico, ma, nella maggior parte dei casi, i risultati sono stati poco brillanti, capaci, al contrario, di rafforzare i pregiudizi già esistenti su questo Paese e sui suoi abitanti, definiti spesso e volentieri “gente diversa da noi”, come scriveva ironicamente Pierre Desproges.
Scegliendo di produrre un film d’animazione in stop motion, piuttosto che in inquadrature reali, il regista ha già evitato la classica trappola in cui si imbattono le produzioni straniere che scelgono di filmare in Giappone: presentare sempre gli stessi luoghi come Shinjuku, Shibuya, Harajuku” talmente scontati che si finisce per chiedersi se i loro autori abbiano mai messo piede fuori dalla capitale.
Wes Anderson ha preferito ambientare la sua storia in mezzo a un universo urbano totalmente originale chiamato Megasaki, in un futuro relativamente vicino, permettendo così di lasciare libero corso alla sua immaginazione traboccante e di inserire, lungo tutto lo svolgimento della storia, decine di riferimenti al presente e al passato, senza che questi potessero passare per delle incongruità.
Questo ne fa in definitiva un grande film sul Giappone e si impara molto circa il modo di pensare proprio ai giapponesi. Quando gli si chiede cosa l’abbia portato a lanciarsi in un progetto simile, il regista confida i suoi molteplici interessi: i cani, il futuro, le discariche pubbliche, le avventure infantili e il cinema giapponese!
“Ci tenevamo a fare un film un po’ futurista. Abbiamo voluto mettere in scena un branco di maschi dominanti, tutti al contempo leader del gruppo, in un universo costituito da spazzatura. Se abbiamo scelto di ambientare la storia in Giappone, è perché siamo impregnati da questa cinematografia. Adoriamo questo Paese e abbiamo voluto mettere in opera un progetto che fosse davvero ispirato al cinema nipponico, abbiamo quindi finito per realizzare una sintesi tra un film sui cani e il cinema giapponese “, racconta.