Passione autentica

L’interesse degli Italiani verso il Giappone e quello dei Giapponesi verso l’Italia vanta remote e profonde radici storiche.

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Se gli Europei nutrono un profondo interesse verso il Giappone, la colpa va senza dubbio attribuita a Marco Polo! Il mercante veneziano, dopo aver esplorato per più di vent’anni l’Oriente seguendo itinerari rimasti in parte velati dal mistero, ha tratteggiato un’immagine talmente affascinante dell’arcipelago che per secoli gli Europei hanno desiderato scoprire le sue preziose meraviglie. Diversi manuscritti originali del suo celebre Milione, redatto a Genova nel 1298, sono giunti fino a noi : Marco Polo riferisce che il Giappone era ricco di oro e di tesori. Probabilmente, Polo stesso aveva subito l’influenza del geografo persiano Ibn Khordadbeh, che aveva evocato, fin dall’886, l’esistenza del paese dei «Wakwak, talmente ricchi che gli abitanti utilizzano l’oro per fabbricare le catene dei cani e i collari per le scimmie».
Il veneziano non parla del paese dei Wakwak, ma impiega il termine Cipango, che sarà utilizzato per lungo tempo dai cartografi, a partire dal momento in cui inserirono il Giappone nelle loro mappe. La parola deriva dal cinese Jih-pen-kuo (Paese del Sol Levante) che il mercante ha poi ritrascritto a sua maniera e imposto al resto del mondo per secoli. Nonostante non abbia avuto la fortuna di andarci, la descrizione che Marco Polo fa del Giappone suscitò numerose brame di conquista. Bisogna attendere circa due secoli perché il genovese Cristoforo Colombo lasci le coste meridionali spagnole nel 1492, verso ovest, alla ricerca dei tesori della leggendaria Cipango. Sappiamo che non raggiunse mai il Giappone, ma che scoprì il Nuovo Mondo. «E così non arriverò mai a Cipango e alle sue isole d’oro e di neve che scorgo là, a portata di mano» gli farà dire il poeta francese Paul Claudel, sottolineando in questo modo come il vero obiettivo di Colombo fosse il Giappone. Il navigatore veniva da contrade dove Cipango aveva fatto sognare generazioni di mercanti e di viaggiatori.
Se Marco Polo o Colombo fossero giunti sul suolo giapponese prima dei Portoghesi nel 1542, avrebbero senza dubbio trovato numerosi punti in comune tra il Giappone e quei territori che non costituivano ancora l’Italia ma sarebbero diventati italiani di lì a qualche secolo, seguendo il fluire della storia. La prima cosa che li avrebbe colpiti sarebbe stato il Monte Fuji, simile al suo alter ego nella penisola italica, l’Etna. Questo, d’altra parte, non sfuggì all’orientalista Fosco Maraini (vedi pp. 6 a 8) che, nel suo formidabile Ore giapponesi (1957) si avventurò in un interessante paragone tra i due vulcani. «Entrambe sono formazioni recenti ma l’Etna ha l’aria di un vecchio; il Fuji è l’immagine stessa della gioventù, le sue linee suggeriscono il movimento, lo slancio. L’Etna è potente, fa pensare a un gigante pieno di saggezza, talvolta incute timore, come il prigioniero di un destino oscuro. Il monte Fuji è flessuoso, fiero e impettito come una spada, invita all’audacia», scriveva. Maraini aggiungeva che «l’Etna è il tempo popolato da ombre senza fine. I suoi emblemi sono l’olivo, il castagno, la ginestra, tutte piante legate alla storia delle civiltà e ai sogni dei poeti, poi la vigna, che dispensa agli uomini dolci languori. L’Etna appartiene da sempre profondamente a questo mondo. Al Fuji sono più consoni i pini selvatici del Kinokai, la cenere o la neve. Il Fuji, come la poesia, aspira al cielo e non si sa mai con certezza se appartenga a questo mondo o a quell’altro, forse si tratta di un misterioso kami (dio)?»
Questi due potenti vulcani incarnano perfettamente l’animo dei loro rispettivi Paesi. È una fra le ragioni per cui i Giapponesi hanno sviluppato un interesse per l’Italia, della quale hanno imparato progressivamente ad apprezzare la cultura e la storia antica. La civiltà romana suscita la loro ammirazione, manifestano verso di essa una sincera curiosità. Esistono numerose opere sulla Roma antica e, in questi ultimi anni, il successo di diversi manga ispirati a questo periodo storico hanno confermato l’infatuazione del pubblico nipponico per l’Italia e per il suo passato. Oltre a Thermae Romae di Yamazaki Mari (vedi pp. 9 a 11) che ha conquistato un pubblico estremamente vasto, si può citare Cesare di Soryo Fuyumi, il cui lavoro sui Borgia ha valso all’autore un successo internazionale. Il Rinascimento è ugualmente un momento importante per i Giapponesi, oggi sempre più interessati a questa epoca. Nel corso di questo periodo gli Italiani hanno sognato le meraviglie di Cipango raccontate da Colombo. L’amore dei Giapponesi per la raffinatezza fa sì che il Rinascimento e l’arte italiana in generale siano sovente al centro delle loro passioni culturali. Questo interesse trova le sue radici storiche in una data precisa : il 1579, con l’arrivo del gesuita Alessandro Valignano. Una delle iniziative più importanti del missionario consisté nell’inviare in Europa quattro giovani cristiani giapponesi, originari di Nagasaki, tra il 1582 e il 1590. Questi ebbero l’occasione di frequentare diversi artisti e di portare con sé al ritorno il gusto e l’interesse per l’arte rinascimentale, che da allora non si è mai spento. A tal punto che la presenza della Monna Lisa, capolavoro del Da Vinci, al Museo nazionale di Ueno dal 20 aprile al 10 giugno 1974 creò un incredibile clamore. Più di un milione e mezzo di persone si misero in coda per scoprire il sorriso misterioso della Gioconda, opera-star di una mostra entrata nella storia.

Per molto tempo, il Giappone ha fatto sognare i navigatori attirati dalle sue ricchezze. La colpa fu di un certo Marco Polo. DR
Per molto tempo, il Giappone ha fatto sognare i navigatori attirati dalle sue ricchezze. La colpa fu di un certo Marco Polo. DR

I Giapponesi sono anche appassionati di musica classica e di opera. Fra le opere che hanno inciso sui rapporti con l’Italia figura evidentemente Madama Butterfly di Giacomo Puccini. L’opera si è imposta a lungo come il riflesso della condizione della donna giapponese, sottomessa e pronta a suicidarsi per ripicca. Mito femminile a parte, Madama Butterfly è il frutto di un importante lavoro di ricerca da parte del compositore. Puccini ha interrogato diversi specialisti della cultura nipponica e ha trascritto melodie inviate da una sua amica in Oriente, la moglie dell’ambasciatore italiano a Tokyo. Il risultato è stato un trionfo e ha contribuito a rafforzare i legami tra Oriente e Occidente, come testimonia il manifesto italiano del 1904 (vedi pag. 4). Al piacere della vista e a quello dell’udito, si è aggiunto gradualmente quello del palato. Se i Giapponesi sono celebri per essere fini buongustai e per aver privilegiato a lungo la cucina francese, giudicata più esclusiva e raffinata, in questi ultimi anni, crisi oblige, nel Paese del Sol Levante hanno cominciato a trascurare les tables in favore dell’itameshi, la cucina italiana. Questa si è rivelata più adatta al Giappone degli anni 1990-2000, meno elaborata e sinonimo di «convivialità, calore e…prezzi ragionevoli» . Gli spaghetti hanno trovato il loro posto nei menù dei caffè fin dagli anni Venti, ma è durante l’occupazione americana dopo il 1945 che i GI di origini italiane hanno reso popolare la salsa di pomodoro di cui i Giapponesi sono ghiotti. L’amore verso la cucina mediterranea è talmente forte che il numero dei ristoranti italiani è in costante aumento da una decina d’anni. Nel 2014, se ne contavano 7917 contro 6348 nel 2005. La tendenza non è reciproca poiché venivano recensiti soltanto 630 ristoranti giapponesi in Italia nel 2014. Tuttavia, la storia delle relazioni dimostra che esistono molteplici punti in comune fra i due Paesi. In molti continuano ad alimentare questa passione. L’oro di Marco Polo si è trasformato in una ricchezza ancora più grande, rappresentata dalla profonda amicizia che lega i due popoli.

Odaira Namihei