La casa giapponese non è soltanto quell’opera che si osserva con occhio talvolta perplesso fra le pagine dei libri d’arte.
Che immagine abbiamo dell’architettura giapponese? Cosa siamo soliti immaginarci quando dobbiamo descrivere le città nipponiche? Quasi sempre, pensiamo a grandi edifici, a vie strette e a una tale densità di abitanti che facciamo fatica a concepire il Giappone come “l’arcipelago della casa”. Per renderci conto del contrario, tuttavia, non è nemmeno necessario lasciare il cuore di Tokyo o di altre metropoli nipponiche. La casa è un elemento indissociabile dall’identità cittadina, molto più di quanto non lo sia a Roma, ad esempio, dove possedere un’abitazione è rivelatore di uno sforzo finanziario notevole o di una condizione economica più che florida. Riconcentriamoci sulla casa giapponese: l’architetto tedesco Bruno Taut se ne era già interessato nel lontano 1937 in un’opera che ha fatto epoca, Houses and People of Japan. In quest’opera di riferimento, Taut proponeva ai lettori la possibilità di scoprire la cultura locale attraverso l’abitazione. L’autore sottolineava come la casa fosse il frutto della cultura degli uomini e delle donne che l’abitavano, prima ancora di esistere come opera d’arte. È spesso sotto quest’ultima chiave di lettura, tuttavia, che le case giapponesi sono rappresentate nei libri d’arte. Valorizzate dal talento di bravi fotografi, somigliano a certe nature morte che andiamo ad ammirare nei musei durante i giorni di pioggia.
La vita è assente, eppure queste case sono state create per essere abitate. Costituiscono una moltitudine di piccoli elementi vitali della città e il modo di occuparle ci parla del talento e della personalità di chi le abita. La casa giapponese non è soltanto un tetto e quattro mura, è molto di più. Conserva una filosofia di vita che ha subito un’evoluzione continua fino agli anni Novanta, quando si è progressivamente avvicinata agli standard occidentali. Oggi, si torna all’essenziale, ovvero a un desiderio di creare spazi dove gli individui, che finora avevano avuto la tendenza ad allontanarsi gli uni dagli altri, possano ritrovare il piacere dello stare insieme. Questo bisogno ha cominciato a farsi sentire dopo lo scoppio della bolla finanziaria con l’inizio di una sempre maggiore precarietà economica. La tendenza si è rafforzata all’indomani degli eventi tragici del marzo 2011. Il progetto definito “Casa per tutti” (Minna no ie) incarna questa tendenza. Zoom fu uno dei partner sostenitori e il progetto ottenne un vasto riconoscimento nel 2012 in occasione della 13esima Esposizione internazionale d’architettura alla Biennale di Venezia. Il progetto ha coinvolto numerosi architetti giapponesi, uniti per immaginare dei luoghi destinati a “creare legami”.
Tutti i professionisti che abbiamo incontrato per questo dossier mettono l’accento su questo aspetto che non cesserà di assumere importanza, soprattutto a causa dell’invecchiamento progressivo della popolazione. Possiamo credere dunque che il Giappone potrà essere un efficace laboratorio d’architettura da cui potranno prendere ispirazione gli altri Paesi industrializzati, interessati dallo stesso problema sociale, per trovare soluzioni e insegnamenti utili. Speriamo che dopo la lettura di questo dossier speciale dedicato alla casa giapponese, le nostre conoscenze sull’architettura nipponica possano crescere e il nostro sguardo possa essere meno offuscato dai pregiudizi.
Odaira Namihei