Documentario : Questa orribile realtà

Fukushima speciale

Da oltre cinque anni, il Giappone subisce le conseguenze di un incidente nucleare che non è servito da lezione.

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Per il suo film, Matteo Gagliardi non ha esitato a usare immagini forti

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Sull’incidente alla centrale nucleare di Fukushima del 3 marzo 2011 si sono dette tante cose e si è fatta soprattutto molta confusione, fra imprecisioni, bugie, mezze verità e depistamenti vari. Quello che mancava era un racconto per quanto possibile semplice e lineare che raccontasse cosa era successo veramente in quei giorni. Ci sono voluti quasi cinque anni ma Fukushima: A Nuclear Story fa finalmente chiarezza su molti punti oscuri della vicenda. Il film di Matteo Gagliardi si basa sui reportage realizzati dal giornalista Pio d’Emila in Giappone ma va ben al di là del semplice documentario. Partendo da una raffinata sceneggiatura scritta a sei mani da Gagliardi, d’Emilia e dalla produttrice Christine Reinhold, l’opera si sviluppa attraverso un complesso montaggio di documenti, interviste e animazioni e un uso intelligente e mai invadente del computer e degli effetti speciali.
Il film ha avuto un grande successo sia in Italia che all’estero tanto è vero che è stato acquistato da 14 paesi (con la significativa assenza del Giappone) e ha vinto diversi premi fra cui i recenti DIG Awards, il festival di Riccione che premia i migliori esempi di giornalismo investigativo. Zoom Giappone ha avuto modo di parlare con Gagliardi all’indomani della presentazione di Fukushima all’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo.

Cominciamo dalla fine, cioè dalla presentazione del film all’Istituto Italiano di Cultura di Tokyo. Come è stata la reazione del pubblico?
Matteo Gagliardi: Innanzitutto devo dire che ho avuto la conferma che Italia e Giappone hanno molti punti in comune a livello culturale e artistico. A livello sociale magari siamo piuttosto diversi ma ho notato che l’italiano piace ai giapponesi proprio a livello umano. L’incontro con il pubblico, poi, è stato sorprendente. Lo temevo tantissimo, prima per un motivo politico perché la figura di Kan Naoto [primo ministro ai tempi di Fukushima] è ancora molto controversa nel suo paese e continua a dividere la gente, mentre nel film viene in qualche modo rivalutata. Ma soprattutto temevo un giudizio sul piano estetico sui manga che avevamo realizzato in Italia. Invece il film è stato accolto con grande calore e affetto e quasi con commozione. Anche per Kan è stato un momento importante perché ha trovato finalmente un pubblico disposto ad ascoltarlo senza filtri o pregiudizi di parte.

Sfortunatamente sembra che i media giapponesi abbiano snobbato il film – il che è anche comprensibile visto il clima di censura e autocensura che si respira nel paese.
M. G. :Infatti non solo non è stato acquistato da nessun distributore giapponese ma Pio mi ha detto che aveva personalmente contattato le maggiori testate nazionali e che solo una si era degnata di rispondergli, dicendo che la cosa non gli interessava. Lo stesso Kan ci ha confidato che in Giappone è praticamente impossibile vedere un documentario straniero sull’argomento. Gli unici che fanno vedere sono quelli prodotti dalla NHK e altre produzioni locali controllate dal governo. Quindi se ci sarà una distribuzione in Giappone del nostro film avverrà solo dal basso o tramite Internet. Abbiamo già ricevuto diverse mail di associazioni di cittadini che vorrebbero organizzare delle proiezioni private.

Eri già stato in Giappone?
M. G.:Assolutamente no, tanto è vero che tutto il film l’ho fatto a distanza. Il materiale video originale è stato girato da Pio d’Emilia nel corso di due anni nell’ambito del suo lavoro di inviato per SkyTG24. Io l’ho contattato nel marzo 2013, quindi due anni dopo il disastro, perché volevo fare un docu-film sul tema. Lui fin dall’inizio è stato molto contento anche se le sue idee su come farlo erano piuttosto diverse dalle mie e quindi abbiamo dovuto trovare un compromesso su alcuni punti.

Ad esempio?
M. G.: Innanzitutto Pio appartiene ad una generazione diversa dalla mia e ha una visione più classica del documentario in termini sia formali che contenutistici. Ad esempio avrebbe voluto dare al film un taglio ideologicamente più militante (ad esempio voleva dire che le Olimpiadi di Tokyo del 2020 si sarebbero dovute cancellare). Io invece avevo in mente un qualcosa di formalmente più complesso e anche più equilibrato nel messaggio. Effettivamente è stato un po’ difficile all’inizio spiegare quale fosse la mia visione.

fukushima3Ma alla fine mi sembra che abbiano prevalso le vostre idee. In cosa è consistito il vostro apporto?
M. G.: Pio avrebbe preferito un approccio più tradizionale – un documentario in vecchio stile. Per noi naturalmente il suo materiale (300 ore di video girati da lui stesso in Giappone) erano fondamentali ma allo stesso tempo volevamo andare al di là di questo aspetto e aggiungere del materiale originale in modo da dare al film una sua coerenza narrativa. È da qui che è nata un’opera multimediale in cui abbiamo mischiato diversi linguaggi quali i fumetti realizzati dall’Accademia Europea di Manga, la fotografia di reportage, etc. Ad essi abbiamo poi applicato una tecnica di camera mapping che rende possibile creare volumi 3D a partire da un’immagine bidimensionale. Tutti questi elementi così apparentemente disparati sono stati poi orchestrati in modo da creare un’opera in tre atti con un respiro cinematografico che va al di là del semplice documentario.

Ma che cosa ti ha spinto a fare questo film?
M. G.: Intanto pensavo che fosse una bellissima storia. Il mio obiettivo come film-maker è quello di raccontare belle storie che interessino la gente e già nel libro di Pio ho trovato proprio questi elementi. In più sono un ecologista e sono sempre stato contrario al nucleare, quindi sono molto interessato alle tematiche trattate dal fim. Questo non vuol dire però che volessi fare un prodotto militante e infatti mi sembra che il nostro punto di vista sia piuttosto obiettivo, tant’è vero che non abbiamo ricevuto neppure una critica negativa in questo senso, neppure dai più convinti nuclearisti.

Mi sembra che in passato tu abbia già affrontato il tema di Fukushima.
M. G.: Infatti nel 2012 ho collaborato al film Fukushame – Il Giappone perduto di Alessandro Tesei. Alessandro aveva fatto una rapida incursione nella zona proibita di Fukushima e con il materiale da lui girato abbiamo fatto un documentario di un’ora che ha avuto un certo riscontro soprattutto a livello di critica, ed una piccola distribuzione nelle sale italiane. Però ero rimasto un po’ insoddisfatto del risultato perché a mio parere era poco esaustivo ed aveva un taglio un po’ sensazionalistico. Io invece avevo l’ambizione di fare il docu-film definitivo su Fukushima e così ho contattato Pio e mi sono imbarcato in questo nuovo progetto che abbiamo concluso finalmente dopo tre anni.

Quanto ti è costato produrre questo film?
M. G.: Circa 200.000 euro. All’estero sarebbe nella media (in America naturalmente sarebbe piuttosto basso) ma in Italia dove per un documentario si riescono a racimolare sì e no 50.000 euro si tratta di un budget importante.

Adesso che il film è uscito e puoi vederlo in maniera un po’ più oggettiva e distaccata, che cosa ti ha colpito di più delle vicende legate al disastro nucleare?
M. G.: Prima di tutto la grande dignità con cui il popolo giapponese ha affrontato e continua ad affrontare questa tragedia – perché non dimentichiamo che la cosa non si è ancora conclusa. Il problema rimane ed è come una fatica di Sisifo di cui non si vede la fine. Devo aggiungere a questo proposito che in Giappone sembra esserci ancora molta disinformazione. Paradossalmente se ne sa di più all’estero che da voi. In secondo luogo ho notato un risveglio di coscienza collettiva e un ritorno di partecipazione popolare ai temi sociali e politici che mancava da tempo in Giappone. Mi sembra che si sia proprio incrinato il rapporto di fiducia che prima era esistito fra lo Stato e il cittadino. Non c’è più l’accettazione supina di ciò che dice e fa il governo. Tanto è vero che se non sono riusciti a riaprire la maggior parte delle centrali nucleari che erano state chiuse all’indomani del disastro di Fukushima è stato proprio per la pressione dal basso. Se dipendesse solo dal primo ministro Abe a quest’ora tutte le centrali nucleari sarebbero di nuovo in funzione. Terzo e ultimo aspetto, il disastro di Fukushima può essere visto come una metafora dell’impotenza umana, di fronte alla natura ma anche e soprattutto alle certezze illusorie che la nostra tecnologia ci offre. Alla fine il caso ha voluto che la contaminazione radioattiva non sia andata oltre la Prefettura di Fukushima solo “grazie” al malfunzionamento di una valvola.

Intervista realizzata da Jean Derome

 

Riferimenti
Fukushima: A Nuclear Story è noleggiabile sia in italiano che in inglese su Vimeo on Demand.