La migliore specialista francese del celebre fotografo di Tottori ci rivela l’universo che ha ispirato la sua opera.
Sakaiminato, piccola città costiera situata in punta alla penisola di Yumigahama nella prefettura di Tottori, è uno dei principali porti di pesca sul mare del Giappone. La prima impressione che trasmette, tuttavia, è quella di una cittadina dove regna una calma quasi inquietante, con le sue vie prive di passanti e i suoi parcheggi vuoti. Chi si avventura a Sakaiminato, molto meno turistica rispetto alla vicina città termale di Yonago, crede di arrivare alla fine del mondo e deve avere bene in mente ciò che sta cercando.
Luogo di nascita di Mizuki Shigeru, celebre autore di manga degli anni Sessanta, qui ha visto la luce anche Ueda Shoji, nel 1913. Figlio di un artigiano – suo padre, Tsunejuro, era fabbricante di tradizionali zoccoli in legno (geta) – Ueda era figlio unico. Appassionato di pittura e di poesia, sogna di diventare presto un artista, ma i genitori lo indirizzano verso la fotografia. Questa “arte moderna” presenta, secondo l’opinione dei suoi, il vantaggio di essere una forma di artigianato che può permettere a chi la pratica l’indipendenza economica. Per consolarlo e incoraggiarlo, i genitori offrono al giovane Ueda il suo primo apparecchio fotografico, un Vest-Pocket Kodac, autentico oggetto di lusso, per l’epoca.
Il giovane segue i corsi all’Università di Yonago, praticando al tempo stesso la fotografia in modo sempre più regolare. In quel periodo, i club amatoriali diventano via via più numerosi. Nel 1932, si trasferisce a studiare presso la Scuola Orientale di Fotografia di Tokyo. Dopo circa un anno, di ritorno a Sakaiminato, con il suo diploma in tasca, Ueda apre il suo primo studio. Da allora, il giovane fotografo coniuga l’attività commerciale ai suoi lavori personali. La sua carriera comincia realmente nel 1937, quando diventa uno dei membri fondatori del Chugoku Shashin Shudan, gruppo amatoriale di fotografi della sua generazione. Lontano dal fermento artistico della capitale, Ueda trae la sua ispirazione sia dalle culture europee, che scopre attraverso le riviste, sia da quella nipponica. Sviluppa rapidamente il proprio stile, lontano dai grandi movimenti della storia della fotografia del dopoguerra, in particolare il foto-giornalismo e il surrealismo. Il suo stile così particolare viene definito Ueda-cho, e se ne vedono i preamboli nell’immagine Shojo shitai (Le ragazze, quattro pose) realizzata nel 1939. In questa fotografia l’autore chiede semplicemente a quattro ragazzine incontrate sulla spiaggia di posare l’una vicino all’altra. Questa messinscena estemporanea resterà fra le sue immagini più celebri e segna l’inizio di un lavoro sulle dune di Tottori, luogo che gli sarà caro per tutta la vita. Talvolta chiamate «le dune di Ueda», tanto la sua impronta è tangibile, queste montagne di sabbia si trovano a un centinaio di chilometri da Sakaiminato. Ueda porta spesso con sé sua moglie e i suoi bambini, che invita a posare in un ambiente minimalista.
Settant’anni più tardi sua figlia Kako, che vive oggi a Tokyo, si ricorda di questi momenti con emozione. Racconta che, malgrado lo spirito conviviale di queste sessioni fotografiche domenicali, suo padre accordava loro una libertà limitata. Ognuno aveva un ruolo ben preciso da rispettare e Ueda si poneva come un direttore d’orchestra.