Dopo i manga, gli anime e la cucina, il sakè si impone come un fondamentale elemento del soft power giapponese.
Dalla fine della Guerra Fredda all’inizio degli anni Novanta, il Giappone cerca di farsi un posto al sole nel mondo. Dopo aver vissuto nell’ombra degli Stati Uniti che garantivano la sua sicurezza e permettevano lo sviluppo della sua economia, il Paese del Sol Levante si è ritrovato nella necessità di assumere nuove responsabilità.
Il “nano politico”, come veniva spesso definito, doveva diventare capace di imporsi sulla scena internazionale. Ma per riuscirci, questo richiedeva sforzi, tempo e mezzi. In un contesto mondiale in piena evoluzione, con l’aumento dell’importanza della Cina sullo scacchiere geopolitico asiatico, il Giappone ha potuto beneficiare di situazioni e elementi favorevoli perché la sua immagine attraverso il mondo ne risultasse vincente.
A differenza di altri Paesi che si sono appoggiati sulla loro potenza militare per imporsi, il cosiddetto hard power, la nazione nipponica ha saputo valorizzare soprattutto la propria cultura, il soft power, per migliorare la sua immagine all’estero. I manga e i film d’animazione sono diventati così gli ambasciatori della nazione, sebbene, almeno agli inizi, la diffusione della cultura popolare non facesse parte di una strategia governativa prestabilita.
Soltanto agli inizi degli anni 2000 le autorità giapponesi si sono rese conto dell’importanza di questa sfera culturale e inventato di conseguenza la strategia del Cool Japan.