Per Tasaki Shin’ya, uno dei maggiori specialisti mondiali di vino, la produzione giapponese non manca certo di carattere.
Quando si parla di vino giapponese, pochi sono competenti quanto il sommelier e esperto di liquori Tasaki Shin’ya, che dopo essersi diplomato all’Accademia del vino di Francia (corso da sommelier), ha conquistato la vittoria nel terzo concorso di sommelier del Giappone nel 1983, all’età di venticinque anni, mentre nel 1995 ha vinto il titolo di miglior sommelier del mondo. Zoom Giappone l’ha incontrato a Tôkyô per parlare del presente e del futuro del vino giapponese.
Ho sentito dire che all’inizio voleva essere uno chef, cosa l’ha spinta a intraprendere la carriera di sommelier?
Tasaki Shin’ya: È una storia piuttosto semplice. Quando avevo sedici anni e volevo lavorare nel settore della ristorazione. Fare il sommelier non era una vera e propria professione in Giappone ed era impossibile ottenere una qualifica. All’ inizio degli anni Sessanta, per lavorare nella ristorazione, l’unica possibilità era quella di fare il cuoco. Ho quindi iniziato a lavorare in un ristorante giapponese, poi in uno di cucina francese, dove sono rimasto affascinato dal servizio offerto ai clienti. Nei ristoranti giapponesi tradizionali era un compito affidato alle donne; gli uomini si occupavano dei piatti, mentre nei ristoranti francesi erano molti gli uomini impiegati nel servizio. Sono quindi passato a quel settore, con l’intenzione di diventare maître d’hotel. Ma allora non sapevo niente sul vino, anzi, neanche l’avevo mai assaggiato e questo era un problema dato che nei ristoranti francesi ovviamente, la maggior parte dei clienti ordinava vino. Proprio per questo, a diciannove anni, ho iniziato il mio percorso di tre anni in Francia per imparare tutto ciò di cui avevo bisogno e ho finalmente ottenuto il diploma da sommelier.
Dopo il mio ritorno in Giappone, ho vinto il concorso nazionale per sommelier e di colpo tutti hanno iniziato a volermi parlare di vino, in maniera particolare di come coniugare al meglio vino e cucina giapponese, cosa ancora sconosciuta all’epoca, per questo ho deciso di diventare sommelier di professione.
In Giappone il vino non è popolare quanto in Francia o in Italia, dove viene consumato tutti i giorni. Qual è l’immagine attuale del vino in Giappone?
T. S. : Ovviamente il mercato locale non è importante come quello europeo, questo perché, a differenza di altri Paesi, il Giappone offre una scelta più ampia di alcolici più tradizionali, come il saké, la birra o lo shôchû (un liquore distillato dalle patate dolci) e perché si bevono diversi alcolici in base al cibo a cui si accompagnano o alla stagione. D’altra parte però, il vino non è considerato esotico come lo era una decina di anni fa e la maggior parte dei giapponesi ha bevuto vino almeno una volta o lo consuma regolarmente.
Un’altra differenza interessante è come in Italia e in Francia il vino sia quasi parte della quotidianità, al punto che italiani e francesi, sin da bambini, si abituano a vedere bottiglie a tavola. Bevono perché il cibo ha un sapore migliore se accompagnato dal vino, è qualcosa che fanno spontaneamente. In Giappone, al contrario, si bevono alcolici per sentirsi meglio, spesso fino ad ubriacarsi, dimenticando così tutti i freni inibitori e conversando liberamente con gli altri.
In molte situazioni sociali bere è fondamentale, si può anche smangiucchiare qualche spuntino, ma cibo e alcool non vanno per forza di pari passo in Giappone. Per esempio, molti amanti del vino scelgono di andare in un bar dopo cena, proprio per assaporare del buon vino.