An An e il nuovo volto del Giappone

Sin dalla sua apparizione nel marzo 1970, An An segna l’affermarsi di una donna giapponese più forte e indipendente.
/ Eric Rechsteiner per Zoom Giappone

Il 1970 vede l’emergere di un Giappone nuovo, in cui le donne conquistano un ruolo sempre più centrale.

Il Giappone, uscito annientato dalla Seconda Guerra Mondiale, ha scelto la via della ricostruzione, sulla scia del modello occidentale, intraprendendo un percorso difficile per raggiungere il suo obiettivo all’insegna del pacifismo. Ci sono alcune date simbolo che hanno segnato la trasformazione di questo paese distrutto per l’80 % nel 1945, e tra tutte il 1964 e il 1970 sono particolarmente significative. Non a caso l’editore De Agostini Japan ha lanciato la sua storica collezione Shôwa Taimuzu [Shôwa Times] destinata a fare il bilancio dei sessantaquattro anni di regno dell’imperatore Shôwa (Hirohito), nonno dell’attuale sovrano, con i primi due numeri dedicati a queste simboliche date. Vista da una prospettiva esterna il 1964 è una data ovvia, in quanto coincidente con il ritorno del Giappone sulla scena internazionale grazie ai giochi Olimpici di Tôkyô. Nelle stesso anno inoltre, il Paese del Sol Levante è entrato a far parte dell’OCSE e ha inaugurato la sua prima linea ferroviaria veloce tra la capitale e Ôsaka. Non ci sono davvero dubbi sul fatto che questi trentanove anni di regno dell’Imperatore Hirohito costituiscano una fase significativa per il Giappone. Sempre da un punto di vista esterno, invece, il 1970 non pare avere la stessa forza, eppure per molti giapponesi rappresenta un punto di svolta imprescindibile. Venticinque anni dopo la fine della Guerra, un Giappone nuovo, radicalmente diverso (e non è un’esagerazione!) si impone alla popolazione. Il decennio precedente era infatti terminato con il drammatico assalto della polizia, nel tristemente noto gennaio 1969, contro gli studenti che occupavano l’auditorium Yasuda dell’università di Tôkyô. L’episodio si è concluso con l’arresto di circa seicento giovani, e ha messo fine a diversi anni di contestazione universitaria, pur non significando la fine del fermento di protesta, anche violento. All’inizio della primavera l’increscioso episodio del dirottamento del Boeing 727 della Japan Airlines verso Pyongyang, in Corea del Nord, precipita il Giappone nel cupo clima del terrorismo di estrema destra che incomberà per decenni. Qualche mese più tardi, il 25 novembre, Mishima Yukio, scrittore e militante nazionalista, dopo l’occupazione del Ministero della Difesa assieme a un gruppo di paramilitari da lui guidati, mette in atto il suo suicidio rituale. Il gesto ha avuto un’eco molto ampia e ha colpito fortemente gli animi giapponesi, contribuendo a caratterizzare il personaggio di Mishima nell’immaginario della letteratura come autore di romanzi centrati sulla dicotomia fra i valori della tradizione e l’aridità spirituale del mondo contemporaneo. Questo spettacolare atto segnerà lo spirito dei tempi in Giappone, poiché i motivi che lo hanno ispirato non sembravano più essere rappresentativi della sensibilità dei giapponesi e soprattutto delle giapponesi. Questo genere di radicalità non sembra interessare più un popolo alla ricerca di una nuova forma di libertà legata all’espressione individuale. Dopo l’investimento collettivo fatto per circa un quarto di secolo nella ricostruzione del paese, una nuova voglia di cambiamento e scoperta si esprimeva simbolicamente con la nascita del magazine An An, nel 1970, una piccola rivoluzione nel mondo editoriale (v. pagg. 6-8).

Dopo cinquant’anni, generazione dopo generazione, An An continua a soddisfare le sue lettrici. / Eric Rechsteiner pér Zoom Giappone


La rivista bimensile, infatti, pensata principalmente per un pubblico femminile, trattava di moda, viaggi e piacere in generale, in una forma inedita anche dal punto di vista grafico. Degno di nota è il fatto che questa rivista abbia rappresentato il motore per questo nuovo Giappone, incarnandone il sogno con la sua simbolica apparizione, mentre a Suita, nella periferia di Ôsaka, si inaugurava l’Esposizione Universale sul tema “Progresso e armonia per l’umanità”, che esprimeva appieno questa volontà di proiettarsi in un mondo nuovo. Il successo fu evidente: sessantaquattro milioni di visite in 183 giorni di apertura al pubblico. La Torre Del Sole, dell’artista Okamoto Tarô, è il simbolo sia dell’Esposizione che di questo nuovo Giappone, ed è in questo contesto che An An mette in luce l’importante ruolo rappresentato dalle donne. Tanto gli uomini sono ostaggio di un sistema aziendale che li vuole soldatini disciplinati, tanto le donne si allontanano da un sistema di valori nel quale non si riconoscono più. In un paese in cui esiste una tradizione di riviste femminili e femministe, di cui la prima apparsa nel 1903, An An esprime perfettamente l’evoluzione del ruolo delle donna nella società. Già novant’anni prima, nel primo numero della rivista Seitô, Hiratsuka Raichô scriveva: “La donna era all’origine un autentico sole, un essere a parte e intero. Oggi la donna è una luna che dipende dagli altri per vivere e brilla di luce riflessa, somigliante al pallido viso di un malato”. L’uscita editoriale di An An segna in maniera evidente che le cose stanno mutando, sancendo l’affermarsi di una visione della donna giapponese forte e indipendente. Il settore dei viaggi è stato uno dei primi in cui questa tendenza di allontanamento dalle convenzioni ha iniziato a mostrarsi. Proprio mentre An An promuoveva la scoperta di nuovi luoghi alle sue lettrici, la Japan Airlines il primo luglio 1970 inaugurava il suo primo Boeing 747. L’era del Jumbo Jet e della democratizzazione del turismo all’estero coincide proprio con il lancio della campagna Discover Japan da parte della compagnia nazionale delle ferrovie, che nonostante lo slogan inglese, rivolge il suo programma di promozione turistica al mercato interno. E sono proprio le donne e le giovani in particolare, a rispondere all’appello, dimostrando il loro bisogno di libertà e An An è lì, al loro fianco, per accompagnarle. All’epoca si trattava di una libertà effimera, poiché permaneva una forte pressione sociale per riportare le donne “sulla retta via”, quella del matrimonio. Nonostante persino le canzonette di moda all’epoca avessero come titolo Kekkonshiyô [Sposiamoci!] o ancora Hanayome [La giovane sposa], si avvertiva ormai chiaramente la volontà di abbattere le convenzioni e conquistare nuove libertà anche in ambito lavorativo.
Dieci anni dopo l’ uscita del primo numero di An An, un’altra rivista segnerà un momento importante nella storia della stampa giapponese: il settimanale Torabâyu, dal francese “travail” (lavoro), lanciato nel febbraio 1980, si rivolge proprio alla “working woman”, desiderosa di dimostrare al mondo che è più di una semplice e futile consumatrice: insomma, la rivoluzione continua.
Odaira Namihei