A 78 anni, Sakamoto Masahide mantiene invariata la sua passione per il mestiere di pasticcere.
La prima cosa che si nota quando si guarda Sakamoto Masahide, sono le sue mani. Le dita spesse e tozze sono il frutto di sessant’anni trascorsi a mescolare fagioli rossi e zucchero, a macinare e sminuzzare riso lungo, e a utilizzare una vasta gamma di strumenti per creare i suoi famosi wagashi (dolciumi in stile giapponese). Una visita nel suo negozio, Eitarô, è un must per gli amanti di dolci. A 78 anni, è sempre entusiasta di fabbricarne e di poterne parlare. «Ci sono talmente tanti wagashi che potrei trascorrere ore a raccontare», dice. «Ci sono innanzitutto gli asanama e i jônamagashi, dei dolci freschi a base di mochi, che devono essere consumati il giorno stesso. Ci sono poi gli yakigashi (dolcetti cotti al forno), come i dorayaki (cibo preferito di Doraemon) che consistono in una sorta di crêpe di pan di spagna arrotolata e farcita con una crema ai fagioli rossi. Numerosi wagashi assumono forme e motivi particolari a seconda della stagione» aggiunge il vecchio pasticcere. Sebbene i wagashi esistano in diverse forme, i loro ingredienti di base sono quasi sempre gli stessi, a cominciare dall’anko, la pasta di fagioli rossi esistente in più varianti quali lo tsubuan (fagioli rossi interi bolliti con dello zucchero), il koshian (il tipo più comune: i fagioli sono passati al setaccio per eliminare la scorza) o lo shiroan (pasta di fagioli bianchi). «Questi dolci blu e rossi che vedete qui, ad esempio, sono chiamati oni (demoni) perché si consumano abitualmente durante la festa di Setsubun, a inizio febbraio, quando viene organizzata una piccola cerimonia per cacciare gli spiriti cattivi. Anche in questo caso sono fabbricati grazie a un mix di anko e un po’ di agar (una sostanza gelatinosa a base di alghe rosse). Il composto viene passato al setaccio e si modellano poi graziose figure a forma di demone», spiega Sakamoto Masahide.
Nel passato, il wagashi era un complemento naturale per ogni evento tradizionale. Tuttavia, le cose sono cambiate molto da quando suo nonno ha fondato la pasticceria originale di Eitarô. «Non ci sono più così tanti bambini come una volta. In Giappone come in altri paesi industrializzati, le famiglie numerose appartengono al passato. Oggi venite già considerati una famiglia numerosa se avete due bambini. Le condizioni di vita sono completamente cambiate. Prendete ad esempio la festa delle bambine (Hina matsuri), il 3 di marzo. Ci fu un tempo in cui le persone vivevano in case più grandi e potevano consacrare una stanza intera di sei tatami alle bambole hina tradizionalmente esposte in questa occasione. Oggi l’esposizione è molto più ridotta e non riceviamo più molte richieste», si rammarica il pasticcere.
«Quando ero giovane, una signora ricca poteva ricevere gli invitati a casa sua e organizzare una sontuosa cerimonia del tè. Era una consuetudine comune nella nostra società, ma oggi è quasi scomparsa. Inoltre, diversi professori di ikebana e di cerimonia del tè vivevano nel nostro quartiere e insegnavano a domicilio. Ogni volta che organizzavano un evento o ricevevano ospiti importanti, ordinavano dei wagashi per accompagnare il tè verde.
Oggi fanno la stessa cosa nelle scuole, riceviamo quindi ancora delle richieste di dolci in funzione delle stagioni, ma non è più esattamente come prima. Infine, negli anni Quaranta e Cinquanta, la maggior parte delle persone mangiava soltanto dolci giapponesi. Oggi invece, i dolciumi occidentali sono molto popolari e l’offerta sembra infinita», aggiunge.
Eitarô fa affari a Asagaya da 62 anni, ma agli inizi il negozio era situato nel centro della capitale. «Eravamo a Hongo, nel distretto di Bunkyô, in quello che si chiamava un tempo Harukichô (oggi Hongô Sanchôme)”, racconta l’artigiano. «Il nostro negozio si trovava presso l’ospedale dell’università di Tôkyô. Lo spazio era limitato, circa la metà della taglia della boutique attuale, con una vetrina e un angolo caffetteria dove servivamo specialità come lo shiruko (crema dolce ai fagioli rossi).
Mio padre era un lavoratore accanito e proponeva sempre nuovi prodotti. Mi ricordo che faceva gelati e caramelle e proponeva delle granite in estate. Il negozio dava su una strada molto frequentata, avevamo quindi molti clienti. Verso Capodanno lo aiutavo a fare i mochi (dolcetti di riso), a preparare le vetrine e a consegnare i nostri prodotti in giro per il quartiere. Era una piccola impresa famigliare, quindi tutti davano una mano.»
Quando il nonno di Sakamoto-san decise di trasferirsi altrove, suo padre lo rimpiazzò nel negozio di Harukichô, e nel 1958, si stabilì a Asagaya, nella periferia ovest.
«All’epoca, Asagaya assomigliava a Nihonbashi e ad altri quartieri tipici di Shitamachi (la città bassa, più popolare) del centro di Tôkyô. Il quartiere a sud della ferrovia, dove si trova il mio negozio, era già assai animato grazie a negozi e commerci, con una forte concentrazione di fabbricanti di kimono e altri negozi di accessori che vendevano obi (cinture), tabi (calze che separano l’alluce dalle altre dita) e geta (zoccoli in legno)», prosegue. «Asagaya ha sempre avuto un carattere assai raffinato, assai diverso dalle stazioni vicine della linea Chûô come Nakano o Kôenji. Questa particolarità esiste ancora oggi. Tuttavia, negli anni Sessanta e Settanta, sono stati costruiti a Nakano il Sun Plaza e il Nakano Broadway, e grandi magazzini e centri commerciali hanno fatto la loro apparizione a Kichijôji. Asagaya nel frattempo ha perso invece un po’ di attrattività. Per esempio, una volta c’erano quattro o cinque cinema vicino alla stazione, ma sono tutti spariti.
Asagaya si è progressivamente eclissata in favore di quartieri più alla moda, con negozi più vistosi» constata con rammarico Sakamoto Masahide.
Qualche anno dopo aver trasferito la boutique, il padre di Sakamoto fu vittima di un attacco cerebrale e suo figlio prese il suo posto in negozio. «Avevo solo diciott’anni all’epoca, ma da quando ero bambino, amavo giocare al pasticcere, osservando i gesti di mio padre. Mia madre l’aveva aiutato nelle preparazioni fin dagli inizi, abbiamo dunque lavorato insieme fino a quando ho avuto abbastanza dimestichezza e fiducia in me.
Abbiamo trovato nuove idee e abbiamo costantemente fatto evolvere il nostro approccio all’arte della pasticceria. Ma ora sono troppo vecchio per queste cose (ride)».
Ancora oggi, Eitarô rimane un affare di famiglia. Ne fanno parte Sakamoto, sua moglie e suo figlio. «Talvolta anche mia figlia prende un giorno di vacanza dal lavoro per venire ad aiutarci nella vendita. Quando siamo particolarmente occupati, come durante la festa di Tanabata (festa delle stelle, il 7 luglio), chiediamo a un pasticcere della zona di aiutarci poiché, in estate, lavora di meno. Dopotutto, è il genere di lavoro che esige competenze manuali. Non è qualcosa che si può imparare in qualche giorno, o che si possa affidare a un aiutante inesperto.
Non è come fare dei taiyaki (dolcetti a forma di pesciolino), una pratica in cui basta saper far funzionare il macchinario di produzione. Anche il lavoro al banco presenta delle difficoltà, perché bisogna sapere come confezionare i wagashi con cura. Vede, con questi prodotti, tutto deve essere bello, compresa la confezione» assicura il pasticcere.
La forma è quella che distingue i wagashi dagli altri dolci. È ciò che li rende particolarmente invitanti ed è ciò che, secondo l’artigiano, rende il suo mestiere interessante. «Questo rappresenta anche un inconveniente perché non potete permettervi di ripetere le stesse cose ancora e ancora. Bisogna sempre inventare proposte nuove e aggiungere nuovi gusti al vostro repertorio; da una generazione all’altra i gusti si evolvono. I clienti più anziani sono contenti coi sapori classici, ma i loro figli e nipoti vogliono qualcosa di diverso, soprattutto oggi, in un mondo dove si è influenzati senza sosta da quel che si vede in televisione o su internet.»
«In Giappone, la cucina e la preparazione degli alimenti sono tradizionalmente legate alle quattro stagioni, con gusti e motivi che si ripetono seguendo il ciclo dell’anno: fragole e ciliegie in primavera, castagne e patate dolci in autunno. In seguito, avete il matcha (tè verde), che si può proporre tutto l’anno. Ora però, tutti seguono mode sempre nuove, e il tempo tra una tendenza e la seguente sembra essere sempre più breve», nota l’artigiano.
«Un po’ di tempo fa, qualcuno ha inventato il daifuku alla fragola. Fino a quel momento, nessuno aveva pensato a unire l’anko con le fragole, e ha fatto sensazione dall’oggi al domani. Questa innovazione ha aperto le porte a un largo ventaglio di possibilità, di combinazioni tra la pasta di fagioli rossi e la frutta (banane, kiwi, ecc). Nel frattempo, il daifuku alla fragola ha perso il suo valore di novità ed è entrato a far parte della gamma dei gusti classici. È una battaglia senza fine per ideare il prossimo prodotto che conquisterà l’interesse dei golosi. Oggi, ad esempio, avete il daifuku al caffellatte: una pasta di fagioli rossi aromatizzata al caffè e alla crema, avvolta in un dolce di riso. Anche nel dorayaki, di cui ho parlato prima, l’anko è stato recentemente sostituito dalla panna! Potete dunque passare ore a spremervi le meningi per inventare qualcosa che magari nessuno comprerà» fa notare ridendo Sakamoto Masahide.
«Detto questo, i wagashi tradizionali avranno sempre i loro appassionati. Si tratta di un ciclo: anche quelli che sono attirati dalle novità finiscono col ritornare ai gusti che li hanno accompagnati da sempre», conclude con una certa saggezza quest’uomo di 78 anni, affabile e sempre pronto a comunicarvi la sua passione col sorriso e una gentilezza senza pari.
Jean Derome