Nuove scoperte: Seguendo i passi di Nagai Kafû

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“Un invito a un profondo viaggio nel tempo”. Mibu Atsushi sa attirare i lettori che vogliono saperne di più a proposito di Nagai Kafû. /Eric Rechsteiner per Zoom Japan

Grazie alle conoscenze di Mibu Atsushi, abbiamo potuto immergerci nell’universo di questo appassionato di Tôkyô.

Dimenticate Murakami Haruki e gli altri prodigi contemporanei. Quando i Giapponesi parlano di Tôkyô e di libri, un nome si impone davanti a tutti: Nagai Kafû. L’anno scorso è stato celebrato il 140esimo anniversario della sua nascita e il 60esimo della sua morte, ma Zoom Giappone ha preferito aspettare fino ad ora, nell’anno terribile del coronavirus e della confusione attorno ai Giochi Olimpici, per celebrare la vita e l’opera di un autore ancora -immeritatamente- poco conosciuto in Occidente, ma che nel proprio paese è considerato un principe della letteratura.
La maggior parte delle sue opere sono intimamente legate a Tôkyô, la città in cui nacque nel 1879 e dove ha trascorso la maggior parte della sua vita, a tal punto che la metropoli stessa sembra spesso essere la protagonista dei suoi romanzi e dei suoi racconti. Mescolando spesso elementi autobiografici ad una forte nostalgia della cultura, delle abitudini e degli stili sociali del XIXo secolo, l’autore ritorna senza sosta sull’universo delle geisha ed il commercio del sesso, nel quale si fece coinvolgere, in maniera irruente, fin dall’adolescenza.
È il caso di Bokutô Kitan, Something strange across the river», inedito in italiano), un romanzo breve che ha auto-pubblicato nell’aprile del 1937 prima che il quotidiano Asashi Shimbun lo pubblicasse a puntate, e fosse poi stampato dall’editore Iwanami Shoten un po’ più tardi in quello stesso anno.
Per capire meglio la storia d’amore dello scrittore con la capitale, abbiamo incontrato uno dei suoi più grandi esperti, Mibu Atsushi, autore, editore e «viaggiatore nel tempo». Il nostro incontro si svolge a Higashi-Mukôjima, luogo in cui si svolge la storia principale di Bokutô Kitan.

La stazione inaugurata nel 1902 e il quartiere circostante si chiamavano un tempo Tamanoï, ma la compagnia ferroviaria Tôbu ha ribattezzato il luogo, nel 1988, in Higashi-Mukôjima. «In realtà, gli abitanti avrebbero voluto conservare il vecchio nome e hanno all’inizio protestato con veemenza contro questa decisione. Hanno finito per incontrare i rappresentanti della Tôbu. Questi li hanno convinti proponendo loro cibo e alcool (ride). In fin dei conti, l’opposizione non deve essere stata particolarmente agguerrita», racconta divertito Mibu Atsushi.
Lasciando la stazione, ci dirigiamo verso nord sulle tracce dello scrittore.
“Nagai Kafû era celebre per il suo approccio da esploratore-cartografo nei confronti del racconto. Scattava frequentemente delle fotografie, tratteggiava degli schizzi e disegnava persino delle mappe dei luoghi scelti per le sue storie. Secondo il suo diario pubblicato più tardi, dal titolo Danchôtei Nichijô (inedito in italiano), si recò per la prima volta a Tamanoï nel marzo del 1936; il suo obiettivo principale era il quartiere delle case di piacere. Il 22 aprile scrisse un testo nel quale descrive nei dettagli alcune sue scoperte e appunti sul luogo. Il 7 settembre registra il primo incontro con una donna che si rivelerà l’ispiratrice del personaggio femminile del romanzo O-yuki. Gli ci volle appena un mese per scrivere l’intera storia, dal 20 settembre al 25 ottobre», precisa la nostra guida.

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Mibu Atsushi conosce perfettamente l’opera del romanziere.


La prima intersezione a cui arriviamo è Taishô-dôri, costruita in origine verso il 1913.
È qui che lo scrittore giunse nel 1936 per visitare il quartiere per la prima volta. «Kafû e Ôe, il protagonista del romanzo, sono venuti entrambi da Asakusa in autobus» aggiunge Mibu Atsushi.
Per le città giapponesi, 80 anni vogliono dire 80 secoli, questo significa che non resta nulla della Tôkyô di Nagai Kafû. Oggi si è fortunati se si riesce a trovare ancora qualche edificio degli anni Cinquanta o Sessanta. «Ciò che è interessante a Tôkyô è che i vecchi edifici possono cedere il posto ai nuovi, questo modifica tutta l’atmosfera, ma il piano delle vie non cambia mai. Per esempio, se paragonate la mappa attuale di questa zona con quella degli anni Trenta, quando Bokutô Kitan è stato scritto, o persino prima del terremoto del 1923, le strade sono esattamente le stesse», spiega lo specialista. Per dimostrare la verità di quanto appena affermato, ci mostra una foto scattata nel 1936 dallo scrittore, durante una delle sue esplorazioni.
In effetti, persino i pali della luce si trovano esattamente allo stesso posto. Sulla medesima fotografia si vede il teatro Mukôjima, scomparso da tempo, e un treno Tôbu che arriva da sinistra.
All’epoca, la linea Isesaki funzionava ancora a livello della strada. «Nagai Kafû ha atteso a lungo per ottenere una bella immagine del treno. Ma quando questo è finalmente apparso, un gruppo di ciclisti si è fermato davanti al passaggio a livello, rovinando la foto. Apparentemente questo gli causò molto fastidio», nota Mibu Atsushi.
Sul lato destro della ferrovia, la via Taishô-dôri diventa Tamanoï Iroha-dôri. Ci troviamo ora nel luogo principale del romanzo. «Per fortuna la parte sinistra di Iroha-dôri ha miracolosamente sopravvissuto ai raid aerei del 1945, mentre il lato destro è andato completamente distrutto. In altri termini, Iroha-dôri ha agito come una sorta di barriera antincendio, impedendo a tutto il quartiere di essere consumato dalle fiamme. Dopo la guerra molti commerci che prima occupavano il lato destro si sono trasferiti di fronte» aggiunge.

«Something strange across the river», è stato scritto prima della guerra.
Penetriamo in seguito nel gruppo fitto di abitazioni a due piani sul lato destro della via. È qui che si trovava l’antico akasen, (quartiere a luci rosse). «Durante l’epoca Meiji e Taishô (1868-1912), la gente non usava questo termine. Al posto di questa definizione, le case chiuse erano chiamate meishuya perché ufficialmente si presentavano come negozi di alcolici. I lupanari di Tamanoï erano in origine situati ad Asakusa, ma si sono tutti trasferiti a est del fiume Sumida tra il 1918 e il 1923, anno del potente terremoto che ha devastato la regione», nota la nostra guida.
Ci troviamo ben presto in un labirinto di stradine strette che, all’epoca di Nagai Kafû, si trovavano lungo un fossato verosimilmente maleodorante. Oggi l’acqua scorre sottoterra, ma Mibu Atsushi può ancora indicarci precisamente il luogo dove si trovava la casa di O-yuki. Estrae una copia del romanzo dalla tasca e comincia a leggere il passaggio in cui O-yuki conduce Ôe a casa.
«Ogni volta che imboccava una stradina si girava verso di me affinché non mi perdessi, poi passò su un ponticello che attraversava il canale e si fermò davanti a una delle case, ornata da persiane di giunco». Il narratore è dolorosamente cosciente che «anche questi quartieri nuovi, che si formano in luoghi così ritirati, non possono sfuggire alle vicissitudini della Storia», ma la casa in cui visse O-yuki «aveva una stretta affinità con gli esseri come me, quelli che il tempo lascia dietro di sé».

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Le forme e i sapori dei dolci prodotti da Sakamoto Masahide cambiano secondo le stagioni. / Eric Rechsteiner per Zoom Japan

Uscire da questo labirinto è un’impresa apparentemente impossibile poiché ogni viuzza sembra terminarsi in un vicolo cieco, ma grazie al nostro esperto, ritroviamo infine Iroha-dôri. Ci mostra un’altra foto scattata da Kafû nel 1936, sulla quale si scorge un torii, un portico di pietra che reca l’iscrizione Tôsei-ji, e un telefono pubblico. Indica allora un punto sull’altro lato della strada. «Si trovavano là, prima», dice. La fotografia è piuttosto sconcertante poiché il Torii è un portico scintoista, mentre il Tôsei-ji è un tempio buddista. Vedendo la nostra aria perplessa, legge un altro passaggio del romanzo: «A destra del ponticello di legno si trovava un incrocio il cui angolo più vicino era occupato da una macelleria equina. Di fronte si ergeva una stele di pietra dove era iscritto “Tempio Tôsei della Setta Sôtô”, il portico del santuario Tamanoï Inari e un telefono pubblico».
Il fatto è che Tôsei-ji e il santuario di Tamanoï Inari condividevano – e continuano tuttora a farlo- lo stesso posto. «È interessante notare con quale fedeltà, quasi maniacale, Kafû includeva questi dettagli della vita reale nelle storie. Alcuni sono scomparsi e non si possono verificare, ma qualcuno rimane ancora», constata Mibu Atsushi. Ci giriamo e, sulla nostra sinistra, il macellaio è sempre lì. Attraversiamo l’Iroha-dôri. Anche se il Torii è sparito, è ancora presente il santuario/tempio in fondo alla via, ma è ora ospitato in un edificio moderno grigio di tre piani.
Siamo venuti a Mukôjima con la segreta speranza di scoprire qualche vecchio edificio. Su questo punto non siamo delusi, perché nel quartiere a sinistra del Tôsei-ji, scopriamo rapidamente diverse case dell’epoca Shôwa (1925-1989), sopravvissute miracolosamente agli anni Cinquanta e Sessanta. Si distinguono facilmente, non soltanto perché hanno un aspetto più antico rispetto agli altri immobili, ma anche perché, contrariamente alle altre costruzioni, sono costituite di latta ondulata e di malta, e presentano altre caratteristiche come piastrelle colorate, superfici curve, vetrate con decorazioni in legno scolpito. Mibu Atsushi nota che le prostitute utilizzavano sovente il balcone del secondo piano per attirare l’attenzione dei potenziali clienti.

Alle fine della nostra passeggiata, discutiamo della relazione dello scrittore con Tôkyô e Mukôjima, di fronte a una tazza di tè. «Il quartiere in cui sono cresciuto si chiama adesso Tachibana, e si trova a est del quartiere del Sumida, ma assomiglia molto a Mukôjima/Tamanoï», spiega. «Da bambino andavo al Mukôjima Hyakkaen, il celebre giardino situato a dieci minuti a piedi da qui. Ho incontrato Kafû molto più tardi, certo, ma la lettura delle sue opere rappresentava per me come un sentimento di déjà vu, poiché nelle sue storie, ritrovavo luoghi che avevo già visitato o visto in film come I quattro camini (Entotsu no mieru basho, 1953) di Gosho Heinosuke. È per questo che Bokutô Kitan mi colpisce così tanto. Mi ricorda la mia infanzia.»
Numerosi critici letterari rimangono perplessi di fronte all’opera di Kafû e fanno sovente fatica a cogliere le ragioni del suo successo come scrittore.
«Non era eccellente nel raccontare, certo. Ma era particolarmente dotato per creare, o magari ricreare, un’atmosfera unica, facendoci scoprire i paesaggi, i suoni e gli odori di una Tôkyô scomparsa da molto tempo. Amava anche giocare con le aspettative del lettore, facendoci ad esempio indovinare chi avrebbe potuto essere O-Yuki. Dopotutto, anche alla sua epoca, si sapeva che amava confondere spesso realtà e fantasia nelle sue storie» aggiunge lo specialista.
Ha scritto Bokutô Kitan quando aveva 58 anni. Passeggiare nel Tamanoï gli ricordava la sua gioventù, quando aveva circa vent’anni. Asakusa, allora principale quartiere di divertimenti della capitale, e il quartiere a luci rosse di Yoshiwara, erano i suoi principali terreni di gioco. Ha cominciato ad esplorare la zona situata a est di Sumida tredici anni dopo che il sisma del 1923 distruggesse il centro di Tôkyô.
La ricostruzione dopo il terremoto cambiò irrimediabilmente la sua città adorata e Tamanoï, discreto e «sporco», gli ricordava probabilmente quel mondo perduto. Ecco perché fu attirato da questa parte poco attraente all’est del fiume. È un comportamento perfettamente comprensibile, funziono allo stesso modo. Sono attirato senza sosta da Mukôjima perché per me, camminare attraverso queste strade, mi dà l’impressione di una sorta di viaggio nel tempo.»
Il concetto di furusato (città natale, luogo di nascita) gioca un ruolo chiave nella cultura e nell’immaginazione dei Giapponesi. Tôkyô in particolare, è una città di migranti, ossia di persone nate in altre regioni, che tornano generalmente a trovare i famigliari in occasione dell’’O-bon, la festa dei morti (a metà agosto), o per celebrare il Capodanno. Talvolta, tornano nella loro città dopo aver raggiunto l’età della pensione.

«Ma per gente come Kafû e me, le cose sono leggermente diverse. Tôkyô è il nostro luogo di nascita, ma questa città cambia a un tale ritmo che la nostra «città natale» è molto diversa da quel che era dieci o vent’anni fa. Quindi, se volete ritrovare questo sentimento di «città natale», dovete cercarlo altrove. In questo senso, Bokutô Kitan, sebbene si svolga in un posto reale, può essere considerata come una sorta di fantasia, un sogno» spiega.

Mibu Atsushi pensa che Kafû non avrebbe mai approvato la maniera in cui la capitale è evoluta nel corso degli ultimi cinquant’anni. «Anche all’epoca non era affatto entusiasta dell’idea di progresso. Si può in effetti confrontare la maniera con cui lui e Natsume Sôseki, altro gigante della letteratura giapponese, parlarono della Tour Eiffel. Nel 1900, Sôseki, studente in Inghilterra, andò in Francia e si recò a vedere la famosa torre di ferro. In una lettera a sua moglie parlò a lungo del sistema futuristico di ascensori che lo aveva condotto fino alla terrazza di osservazione, dimenticando persino di descrivere il panorama che aveva ammirato dall’alto della torre. Sette anni più tardi, Kafû, allora ventottenne, dopo aver lasciato gli Stati Uniti dove aveva studiato per quasi quattro anni, arrivò in Francia. Dal treno che lo portava da Le Havre a Parigi, scorse la Tour Eiffel da lontano e scrisse: «Sotto le nuvole bianche estive, la Tour Eiffel è improvvisamente apparsa. Un fiume scorreva pacifico lungo i binari». Quel fiume era la Senna, e viene citata più volte nei suoi scritti. Mentre la Tour Eiffel è nominata una volta sola.
Si può dire la stessa cosa del Ryôunkaku di dodici piani. Costruito nel 1890 e affettuosamente battezzato Asakusa Jûnikai, il primo grattacielo giapponese fu estremamente ammirato e la sua popolarità fu indiscutibile per tutti, ad esclusione di Kafû. In effetti, nelle sue opere è appena menzionato. Sono quindi praticamente sicuro che sarebbe costernato nel vedere la Tôkyô Sky Tree, e tutti gli altri mostri d’acciaio e di cemento che sono apparsi nel paesaggio urbano della capitale», considera la nostra guida. «Non è un caso se, negli ultimi anni, dopo la guerra, lo scrittore andò a vivere a Ichikawa, nella prefettura di Chiba. Come scrisse nel suo diario, dovette spostarsi più a est per ritrovare un simulacro della sua Tôkyô adorata del passato, circondata da campi e da fiori. Adesso, sfortunatamente, persino a questa distanza vedrebbe per forza la Tôkyô Sky Tree!», aggiunge.
«Verso la fine di Bokutô Kitan, Ôe passeggia nel quartiere in cui abita O-Yuki e riflette alla sua attrazione per questo genere di posti: «Terajima-chô non era che risaie, un ruscello chiaro dove le libellule trovavano riposo su fiori acquatici: non potei impedirmi di provare un’emozione inopportuna per un uomo anziano.» I «viaggiatori nel tempo» come Nagai Kafû ed io, percorriamo la periferia di Tôkyô alla ricerca di questo sentimento indecifrabile.

Proviamo un piacere straordinario ogni volta che ritroviamo una traccia del nostro passato in una stradina o in un posto dove i gatti dormono al sole e dove le persone trascorrono ancora la loro esistenza a un ritmo molto lento», sospira Mibu Atsushi, lo sguardo immerso nella sua tazza di tè.

Jean Derome