A colloquio con l’acuta esploratrice Hasegawa Yuko sulla relazione fra arte, design e architettura.
Cercare di parlare a Yuko Hasegawa è un po’ come correre dietro al Coniglio Bianco di Alice nel paese delle Meraviglie: quando pensi di averla presa in trappola, lei salta su un aereo e vola in uno dei tanti Paesi in cui viene spesso invitata a curare una mostra o a partecipare a un simposio internazionale. Acuta esploratrice delle fitte trame che legano i disparati mondi dell’arte contemporanea, il suo vero capolavoro l’ha però fatto resuscitando il moribondo Museo di Arte Contemporanea di Tokyo (MOT) – di cui dal 2006 è la principale curatrice – e trasformandolo in un laboratorio di ricerca che spesso mette in luce i legami sempre più stretti fra arte, architettura e design. Ed è proprio di questo che abbiamo parlato quando siamo finalmente riusciti a intrappolarla nel suo ufficio.
Il paragone con il famoso Coniglio di Lewis Carroll non è un caso visto che uno dei recenti progetti di Hasegawa al MOT si chiama appunto “Bunny Smash: Design to Touch the World”. “Il Coniglio Bianco è una figura che sento vicina perché fa a pezzi la logica convenzionale e porta alla scoperta di mondi nuovi”, spiega lei con una pacatezza e un pragmatismo più da amministratore delegato che da Cappellaio Matto. “Quella mostra – e altre che ho curato in passato – voleva mostrare futuri alternativi nel campo delle varie discipline attraverso diversi metodi di intervento nello spazio. Le nuove tendenze dell’architettura, in particolare, sotto l’influenza delle tecnologie informatiche e della realtà virtuale, abbracciano sempre più spesso tutti e cinque i sensi. È importante trasformare l’architettura in una pratica che metta in discussione il nostro rapporto con la società, la natura e tutto ciò che ci circonda. Con la scomparsa delle grandi ideologie e il dominio assoluto del mercato, è sempre più necessario espandere il proprio raggio d’azione in modo da abbracciare nuovi principi etici ed estetici”.
La divisione dell’arte che ha avuto origine nell’800 ha creato da una parte le cosiddette belle arti e dall’altra le arti applicate (architettura, moda, grafica, ecc.). Questa classificazione si basa su una struttura che sostiene il sistema di produzione e consumo del prodotto. Secondo Hasegawa anche in Giappone i creativi d’oggi cercano di scavalcare questa rigida separazione in favore di un approccio interdisciplinare che stimoli l’immaginazione del fruitore. “In campi come l’architettura e il disegno grafico”, continua Hasegawa, “pur tenendo conto dei desideri del cliente e dei principi di mercato, si sta sviluppando una nuova relazione fra creatore e consumatore. In particolare sempre più architetti non pensano più solo in termini di architettura – cioè non si limitano a considerare l’edificio – ma affrontano i loro progetti in termini di space design con un approccio che abbraccia tutti gli elementi, dall’arredamento interno al rapporto dell’edificio con l’ambiente che lo circonda”.
Da più parti si dice che le varie branche dell’arte contemporanea sono diventate sempre più autoreferenziali. Hasegawa interpreta il rapporto più stretto che si è creato fra queste discipline e la vita quotidiana a partire dagli anni ’90 come uno sviluppo positivo che riavvicina i creativi ad un pubblico più vasto. “È un po’ un ritorno all’approccio dei movimenti storici del XX secolo che pur avendo una visione nuova, d’avanguardia, attingevano a piene mani dalla vita quotidiana. In Giappone, per esempio, il movimento Metabolista degli anni ’60 ha influenzato enormemente il modo di intendere l’architettura e il suo posto nella società. Il nome stesso, di derivazione biologica, voleva dare dell’architettura e delle città un’immagine simile a quella di un organismo vivente capace di crescere, riprodursi e trasformarsi a seconda dell’ambiente in cui si trovava. Architetti come Kurokawa Kisho, Kikutake Kiyonori e Maki Fumihiko (a loro volta influenzati dal maestro Tange Kenzo) credevano che lo sviluppo di una comunità di persone passasse attraverso la creazione di città ideali”. Hasegawa sottolinea anche come i Metabolisti, anticipando gli sviluppi interdisciplinari di oggi, siano andati oltre l’architettura e la pianificazione urbana per interessarsi di arte e design. “Basta pensare a una mostra come “Dallo spazio all’ambiente” del 1966, per non parlare dell’Expo ’70 di Osaka, che hanno integrato generi e discipline molto diverse all’insegna della creazione di un nuovo tipo di ambiente a dimensione umana.
“L’arte, il design e l’architettura sono diventate linguaggi interdisciplinari che aspirano a cambiare il modo della gente di rapportarsi alle cose e alla realtà attraverso la creazione di oggetti che grazie alle loro forme funzionali riescono a infiltrare gli spazi di vita quotidiana. Si tratta a volte di prototipi di un’utopia il cui scopo è quello di ispirare l’immaginazione di chi le vede.”
Da diversi anni Hasegawa ha uno stretto rapporto con l’Italia. Nel 2003 ha curato il padiglione giapponese alla 50° Biennale di Venezia mentre due anni fa è stata consulente artistico alla 12° Biennale di Architettura sempre nel capoluogo veneto. “Molti architetti e designer non sono più legati alla convenzionalità delle ideologie tradizionali, come l’umanesimo, bensì osservano attentamente gli sviluppi della società umana e si comportano di conseguenza. La stessa cosa succede anche in Giappone. I giovani creativi giapponesi mostrano un’attitudine verso l’acquisizione di informazioni che è allo stesso tempo astorica e non gerarchica”. Questo essere in-between è un po’ come una zona di nessuno dal paesaggio variabile, in cui esiste un costante passaggio dal reale al concettuale e viceversa. “Quando le persone si concentrano su una sola disciplina”, spiega Hasegawa, “finiscono a volte con il perdere di vista dettagli importanti o non venire a conoscenza di idee altrettanto valide provenienti da ambiti diversi. Le cose al giorno d’oggi cambiano così in fretta che il momento collaborativo diventa di importanza fondamentale”. Le scienze e la tecnologia partecipano a questo gioco di scambi non solo perchè forniscono spunti da sviluppare a livello tematico, ma anche e soprattutto per l’apporto che danno allo scambio di informazioni. “Adesso è facilissimo condividere informazioni, e naturalmente questo approccio può essere applicato anche al sistema produttivo con la creazione di nuovi canali di distribuzione”. Hasegawa ribadisce che tutte queste attività non esistono in un vuoto esistenziale, ma devono fare i conti con l’ambiente umano e sociale in cui sono immerse. “Sia l’architettura che le altre discipline sono strettamente legate al desiderio umano. Noi produciamo queste cose perché esiste un bisogno a monte. Oggi però è più che mai importante non perdere di vista l’impatto che le nostre attività hanno sull’ambiente in modo da non abusare delle risorse naturali. Molti architetti, ad esempio, si interessano esclusivamente agli edifici che vogliono costruire, mentre dobbiamo fare più attenzione alla relazione di queste strutture con l’ambiente che le circonda, il dentro e il fuori, il naturale e l’artificiale – o se preferisci il materiale e lo spirituale”.
Prima di scappare a prendere l’ennesimo aereo per l’Europa, Hasegawa mi lascia con una considerazione sull’Italia. “Il mondo attuale è molto diverso da quello di una volta e la realtà virtuale ha preso posto accanto a quella fisica. Quindi è naturale che anche i gusti delle persone siano cambiati. Lo stile italiano è sempre stato apprezzato per la sua autenticità e personalmente lo amo molto. Visti i recenti sviluppi, a volte può sembrare un po’ sorpassato, ma è difficile stilare classifiche secondo i parametri tradizionali. Alla fin fine è una questione di gusti personali”.
Jean Derome
Eventi
Questo 2016 ricco di eventi dedicati al Giappone riserverà due spazi importanti anche all’architettura del Sol Levante. Il primo, il Padiglione del Giappone alla Biennale d’Architettura di Venezia (28 maggio-27 novembre), sarà dedicato quest’anno al concetto di en, legame, connessione. Il MAXXI di Roma ospiterà invece da ottobre a gennaio la mostra “L’architettura residenziale giapponese dal Dopoguerra ad oggi”, offrendo una panoramica sull’evoluzione di questa “arte al servizio degli uomini” in parallelo alle profonde trasformazioni storiche e sociali vissute dal Giappone negli ultimi settant’anni.