Traduzione : Simona non ne sbaglia una

Senza il lavoro di Simona Stanzani, i manga in italia non avrebbero lo stesso appeal.

Simona Stanzani ha cominciato a tradurre manga nel 1992. Oggi, la sua passione è sempre intatta. / Laura Liverani per Zoom Giappone

Ora che manga e anime hanno conquistato il mondo, sempre più persone sono impegnate a tradurli dal giapponese. Per ogni traduttore professionista ci sono un sacco di appassionati che fanno “scanlation” ovvero scandiscono, traducono e postano le loro traduzioni su Internet. Ma quali sono le difficoltà che manga e anime pongono ai traduttori? Ed è facile vivere di questo lavoro? Zoom ha chiesto queste e altre cose a Simona Stanzani, una veterana del ramo che ha appena festeggiato i suoi primi 25 anni come traduttrice.

Quando ti sei innamorata del Giappone?
Simona Stanzani : Quando avevo circa quattro anni mio padre ha regalato a mia madre una bambola decorativa giapponese simile a una geisha. L’hanno messa in corridoio e io ne sono rimasta così affascinata che passavo delle ore ad ammirarla. Forse nella mia vita precedente sono stata giapponese (ride). I fumetti poi mi sono sempre piaciuti anche prima che i manga arrivassero in Italia negli anni ’80. Sono cresciuta in una casa piena di fumetti perchè i miei ne erano appassionati. Così quando i primi anime sono arrivati nel 1978 me ne sono innamorata e ho pure cominciato a disegnare manga. Mi piaceva mettere insieme personaggi di storie diverse. Diciamo che facevo dojinshi senza sapere che cosa fossero le fanzine auto-prodotte. Più tardi ho anche studiato la tecnica del fumetto con alcuni grandi artisti come Igort, Mattotti, Andrea Pazienza, ecc. In realtà avrei voluto diventare un’autrice di manga, tant’è vero che ho anche cominciato a studiare il giapponese all’università.

Insomma, sei stata una sorta di pioniera otaku.
S. S. : Beh, una specie. Facevo anche cosplay prima ancora che il termine diventasse popolare in Italia. All’epoca portavo una divisa scolastica come Lamù. Probabilmente la gente pensava che fossi un po’ matta (ride). Sfortunatamente per i miei sogni di gloria fumettistica, a quel tempo non c’era ancora un mercato per i manga, così nel 1992 ho cominciato a tradurre i lavori degli altri. Un amico mi ha presentata a Andrea Baricordi dei Kappa boys [il gruppo che per primo ha introdotto i manga in Italia]. Lui stava proprio cercando un traduttore e così ho fatto il mio debutto nel primo numero di Kappa Magazine.

Come mai ti sei trasferita a Tokyo nel 2007?
S. S. : Innanzi tutto perchè amo i manga e gli anime e Tokyo è ovviamente la capitale mondiale degli otaku; è una città molto eccitante che offre un sacco di opportunità anche di lavoro. Basta partecipare a fiere ed eventi simili per incontrare gente nuova che condivide i tuoi interessi. Nel mercato delle traduzioni, in particolare, i legami che crei in questo modo possono sfociare in importanti opportunità professionali. C’è poi il semplice fatto che in Giappone è più facile guadagnarsi da vivere con le traduzioni. In Italia puoi anche essere il migliore ma tutta la tua esperienza e competenza non si traducono in maggiori guadagni. I giapponesi pagano sicuramente meglio anche se ultimamente la traduzipne dei manga non rende più come prima. Questo comunque è vero dappertutto. In ogni caso io continuo a lavorare anche per gli editori italiani, a cominciare da Planet Manga Panini, per cui di solito traduco 3-4 manga al mese. In questo senso è importante mantenere contatti multipli perchè specialmente con gli anime e i film non so mai se e quando avrò una nuova richiesta.

Che differenze ci sono nel tradurre manga e anime?
S. S. : Sono due cose molto diverse. Quando traduci per lo schermo devi trasmettere il significato in modo chiaro e soprattutto conciso perchè non hai molto spazio per i sottotitoli (in genere sono 40 caratteri a riga). Questo crea molti problemi perchè l’italiano è una lingua molto prolissa. Con i manga hai relativamente più spazio e se necessario puoi anche aggiungere una nota per spiegare meglio certe cose. Inoltre lavori con un editor con cui puoi sempre confrontarti e trovare la giusta soluzione. Diciamo che hai una sorta di rete di sicurezza. Con gli anime invece tu sei l’editor di te stesso. Personalmente sono una purista e anche quando lavoro su un anime o un film cerco di essere il più fedele possible all’originale. Altre persone a volte preferiscono cambiare completamente la frase per renderla più comprensibile.