INCONTRO : L’uomo del rinnovamento

Cosa l’ha spinta, alla fine, a voler tornare a vivere in Giappone?
M. T. : Avevo 32 anni e sentivo che avevo infine concluso il mio viaggio durato quattordici anni. Naturalmente, ero qualche volta tornato in Giappone nel frattempo, avevo persino avuto modo di incontrare la mia attuale moglie con la quale ho messo al mondo una figlia. Fino ad allora, non sapevo ancora come avrei voluto vivere. Per tornare era necessario che mi sentissi davvero pronto a mettere in pratica un modo di vita autarchica. E questa fiducia in me stesso l’ho avuta grazie all’esperienza vissuta in Francia.

Ha costruito un villaggio partendo dal nulla, da dove ha cominciato?
M. T. : Ho cominciato ad affittare una parcella di terreno e una casa. Ma, dopo due anni, il proprietario mi ha chiesto di restituirgli tutto, nonostante avessi già lavorato il campo e riparato l’abitazione. In quel momento ho capito che non avrei potuto essere davvero libero se non fossi diventato io stesso proprietario. Ho quindi acquistato un pezzo di terra, e l’ho reso coltivabile. Ho piantato frutta e ortaggi biologici, ho cominciato a venderli nei pressi della città. Mia moglie ha avuto poi l’idea di aprire un ristorante biologico in centro a Kumamoto, rifornito dai nostri prodotti.
Il ristorante si chiamava Annapuruna, come la fattoria gestita attualmente da mia figlia, ed è diventato un luogo di incontri e di scambi. Abbiamo vissuto così tra la città e la montagna per dieci anni e finalmente, abbiamo potuto economizzare a sufficienza per comprare un terreno e una casa a Aso e tutto quanto serve per vivere in autarchia. Ovviamente, è stato necessario molto tempo. Solo per poter aver l’acqua partendo dalla sorgente lontana due chilometri, i lavori sono durati sei mesi. Oggi, sono, come si suol dire, “pensionato”. Voglio consacrare il mio tempo a obiettivi più importanti. Vivere in autarchia significa vivere in libertà. Ma a quale scopo? Ero a questo punto delle mie riflessioni quando ha avuto luogo il disastro dell’11 marzo.

Alissa Descotes-Toyosaki per Zoom Giappone

Dove si trovava quando è avvenuta la catastrofe?
M. T. : Proprio qui. Tutti i giorni, arrivavano nuove persone e si rifugiavano nella mia fattoria. Avevo solo questo posto per accoglierli. Venivano grazie al passaparola, alla ricerca di un nuovo modo di vita, ma non sapevano troppo da che parte cominciare. Dopo sei mesi molti sono rientrati nel luogo da dove venivano. Non hanno avuto la forza per questo cambiamento. Vivere dei propri mezzi, senza stipendio, richiede dei principi e delle convinzioni molto forti. Certo, se ci si prova veramente, credo che sia possibile per chiunque. Ma alcuni non hanno la determinazione necessaria.

Come diventare più forti allora?
M. T. : Bisogna essere convinti che non si possa tornare indietro. All’università, sono stato colpito dal lavoro dell’inglese Arnold J. Toynbee, specialista di storia delle civiltà. Secondo lui, ogni civiltà ha una fine. Ma, risolvendo il problema che ne ha causato la distruzione, una nuova civiltà appare. In Giappone assistiamo in questo istante alla fine di una civiltà. I bambini sono l’avvenire e per questo bisogna cambiare il sistema educativo.

In un’intervista rilasciata alla rivista Spectator nel 2012, ha spiegato che i genitori fanno troppo affidamento sulla scuola. Lei si è occupato personalmente dell’educazione di sua figlia?
M. T. : Sì, ma non so se è stata una buona scelta (ride). Volevo che la mia bambina non compiesse tutto il suo percorso educativo in un contesto classico. Ha lasciato gli studi alla fine delle elementari. La mia idea era quella di creare una scuola libera per non lasciare il bambino da solo. Ho cominciato a organizzare delle riunioni con altri genitori, perché questo modello potesse ispirare altre scuole. Ma non ha funzionato. Sempre più genitori si rivolgevano a me per chiedermi di iscrivere il loro bambino e non per creare essi stessi una scuola a casa loro! Forse è una questione di tempi. In Francia, sono molto avanti in questo campo. L’educazione fa naturalmente parte del sistema di auto-sufficienza.

Sua figlia ha uno stile di vita prossimo alla natura e coltiva té biologico. Pensa che l’auto-sostentamento vada di pari passo con un’educazione all’autonomia?
M. T. : La scuola è difficilmente compatibile con un modo di vita autarchico. Nel sistema scolare classico, il bambino è stretto tra due visioni del mondo completamente differenti.
Da un lato la scuola e dall’altro, i genitori. Nella maggior parte dei casi il piccolo sceglierà la scuola a causa del rapporto coi compagni di classe e si creerà un abisso tra lui e i suoi genitori. Per questo motivo, penso sia primordiale creare la propria scuola, il proprio sistema educativo. Troppi pochi genitori lo fanno, poiché non ne vedono realmente la necessità ed è molto frustrante. Tuttavia, noi abbiamo la scelta. Lo Stato ha l’obbligo di creare le scuole per i bambini ma il bambino non è obbligato a frequentarle.

In che cosa la scuola giapponese offre una visione radicalmente diversa rispetto agli insegnamenti che potrebbero impartire dei genitori che vivono in autarchia?
M. T. : La scuola giapponese è stata creata per formare dei militari. La legge sull’Educazione nazionale è nata nel 1890, prima del conflitto tra Cina e Giappone del 1894-95, poi è stata corretta nel 1940, alla vigilia della guerra del Pacifico. Dopo il conflitto e fino agli anni Sessanta, l’insegnamento si è aperto. Ma in seguito, lo Stato ha ordinato a tutto il corpo insegnante di leggere e imparare a memoria gli editti imperiali relativi all’educazione risalenti all’epoca Meji. Aberrante! L’educazione è così diventata uno strumento di propaganda al servizio dello Stato anziché dell’essere umano.

Lei ha evocato l’esempio delle comunità francesi, modello difficilmente esportabile in Giappone. Il suo obiettivo è quello di creare un nucleo famigliare auto-sufficiente ma senza collettività?
M. T. : No, la vera autonomia si crea in maniera collettiva. Anche se si vive in modo autarchico nel nostro proprio territorio, è necessario avere una relazione con l’elemento locale e una percezione comune dell’economia. Fino ad ora il nucleo era rappresentato dalla mia famiglia, poi si è allargato con la famiglia di mia figlia. Mi sono reso conto che la gestione era molto difficile e che avevamo bisogno di diverse famiglie. Siamo ancora allo stadio dell’esperimento, ma bisogna che questo riesca per poterlo utilizzare come modello. Come dicevo, produrre un sistema autosufficiente comune non è semplice in una società così gerarchica come quella giapponese. Si crea un legame di dipendenza che distrugge la comunità, mentre in Francia, ogni individuo è solidale ma in modo autonomo. Questo costituisce la sua forza.

A partire dal 2007 ha organizzato delle manifestazioni attraverso il Giappone per dibattere sulla necessità di uscire dal nucleare, lo ha fatto presso le collettività locali dove sono impiantati 54 reattori. La catastrofe di Fukushima ha avuto un impatto sulla coscienza collettiva?
M. T. : Sì certo, ma non basta più. Hanno già riacceso quattro reattori a Kyushu, e tutto può procedere molto velocemente. Penso si dovrebbe includere un articolo nella Costituzione per proteggere la vita. I difensori dell’articolo 9 insistono regolarmente sul fatto che sono i Giapponesi stessi che hanno creato questa Costituzione pacifista. Ma se sono stati capaci di redigere un tale testo, sono stati altrettanto capaci di provocare un incidente nucleare di livello 7. Alla fine, senza mettere mano alle armi, il Giappone è stato comunque distrutto. Fino ad oggi, però, nessuno ha redatto una Costituzione per proteggere la vita.

Ha scritto recentemente un fascicolo intitolato Costituzione per la pace e per la vita. Si tratta di un tentativo di riforma costituzionale?
M. T. : No. Lo credono in molti, ma non è così. È un libretto che ho scritto come base per una nuova idea di Costituzione e che distribuisco gratuitamente per indurre alla riflessione. Per proteggere l’attuale Costituzione bisogna includere la vita. In maniera generale penso che i movimenti di mobilitazione civile per proteggere l’articolo 9 non siano sufficienti, bisogna tirare in ballo la politica. L’11 marzo ci ha dato l’opportunità di compiere questo passo in avanti.

Nell’intervista per Spectator, ha descritto la politica come un nukazuke, il piatto giapponese a base di riso dove si mescolano numerosi ingredienti…
M. T. : Sì, è così, dal momento che se non si mescola il nukazuke, questo diventa cattivo. Il partito Liberal-democratico al potere è come questo piatto quando non ha fermentato. Si possono aggiungere delle belle melanzane e dei cetrioli, ma sarà sempre cattivo.

Prima diceva di non nutrire alcun interesse per la politica, ma aggiungeva di aver capito fosse un errore. Si presenterà alle prossime elezioni municipali?
M. T. : No, partecipo dietro le quinte alle elezioni ma non presento la mia candidatura. Sono già dieci anni che formo giovani politici. Perché se ci sono dei giovani, le persone ricominceranno a votare. Due fra di loro sono diventati deputati, tra questi c’è Miyake Yohei.

Miyake Tohei è un musicista che ha inventato il proprio stile di campagna elettorale, invitando dei rappers in scena per mobilizzare il più gran numero di giovani lontani normalmente non interessati alla politica. Pensa sia una speranza per la nuova classe politica giapponese?
M. T. : Sì, ho assistito a uno dei suoi “festival elettorali” a Ikebukuro, due anni fa. È stato formidabile. Ha riunito migliaia di persone, essenzialmente dei ragazzi. In seguito però, ha commesso l’imprudenza di incontrare la moglie del Primo ministro Abe e questo gli ha valso critiche estremamente severe: è stato praticamente bandito dai suoi elettori. In politica bisogna essere doppiamente prudenti. Miyake ha vissuto un’esperienza molto dolorosa, ma se riuscirà a sormontarla presentandosi al prossimo scrutinio sarà molto forte. Saranno delle elezioni organizzate per eleggere al contempo dei deputati e dei senatori, un momento cruciale per il paese.

Quali progetti ha per il 2019?
M. T. : In vista delle elezioni del luglio prossimo, sto organizzando una grande marcia per la pace a cui parteciperanno bambini giapponesi e coreani… La « peace walk »è un concetto che ho scoperto mentre facevo il giro della Corea a piedi dieci anni fa.

Pensa che il Giappone debba avvicinarsi al suo vicino coreano?
M. T. : Assolutamente. Le relazioni nord-sud sono molto importanti sia per la Corea che per il Giappone. In questi ultimi tempi esistono opportunità insperate di dialogo. Bisogna rendersi conto che, fino ad appena un anno fa, non si finiva più di parlare di missili nord-coreani e oggi si parla di riunificazione, è straordinario! Se la Corea si riunifica, non ci sarà più una ragione valida per rivedere la Costituzione.

La Corea possiede, come il Giappone, numerosi reattori nucleari?
M. T. : Certamente. In caso di incidente in Corea, il Giappone sarebbe coinvolto e viceversa. Quest’estate ho accolto dei bambini coreani e dei bambini di Fukushima. Erano molto contenti e comunicavano grazie a un’applicazione di traduzione sul loro smartphone, è stato incredibile! C’era una bimba nata al momento dell’incidente e c’era un ragazzino coreano che discuteva a proposito del servizio militare, i due andavano così d’accordo…Per me questi incontri culturali sono il cemento per costruire la pace nel mondo. Bisognerebbe però che gli adulti avessero un’idea chiara su quale direzione prendere.

Quale direzione le sembra prioritaria per il futuro?
M. T. : La riforma dell’educazione. In fin dei conti le scuole di oggi formano persone che costruiscono il nucleare. In futuro avremo bisogno di scuole che educhino la popolazione a uscire dal nucleare. Non possiamo ripristinare il vecchio modello di vita ma possiamo costruire una nuova civiltà. Questa idea, l’ho studiata durante tutti gli anni in cui ho vissuto in India. Recentemente, ho finalmente capito che non avevo imparato queste cose soltanto per il mio sviluppo personale, ma per trovare una soluzione ai problemi che affrontiamo tutti.
Intervista realizzata da A. D.-T.