Yamazaki Mari racconta le sue picaresche (dis)avventure fra Italia e Giappone.
Da quando Thermae Romae è diventato un best seller internazionale, la fumettista Yamazaki Mari conduce una doppia vita: in Italia se ne sta sempre chiusa in casa lavorando freneticamente a tutti i suoi progetti, mentre ogni qual volta torna in Giappone ha l’agenda piena di impegni (interviste, incontri con le scuole e apparizioni in TV). Fortunatamente ha trovato il tempo di parlare anche con Zoom Giappone.
Il suo ufficio di rappresentanza è nascosto in un tranquillo quartiere della periferia di Tokyo, non lontano da Shibuya, ed è lì che l’abbiamo incontrata alla vigilia di Capodanno. Come ammette lei stessa con uno sguardo furbo, «quest’anno sono riuscita a scappare dall’Italia e da tutte le feste e gli obblighi di fine anno».
Mi parli un po’ di questa sua famiglia così particolare.
Yamazaki Mari: Direi molto particolare. Mio nonno ha lavorato in America per circa dieci anni e mia madre – che è poi diventata musicista classica – è cresciuta con una mentalità un po’ filo-occidentale. È cattolica e io stessa sono stata battezzata. Lei avrebbe voluto studiare all’estero e forse ha realizzato in me il suo vecchio sogno.
A quanto pare anche il suo bisnonno era piuttosto eccentrico.
Y. M.: Infatti. Essendo un signore feudale non aveva bisogno di lavorare e passava il tempo coltivando i suoi interessi per la cultura occidentale. In seguito, dopo l’apertura del porto di Yokohama (dove viveva la mia famiglia) nell’epoca Meiji (1868-1912) ha addirittura assunto un italiano perché gli insegnasse la musica classica. Quindi io sono la degna figlia di questa strana famiglia. Mia madre si è accorta presto che ero così diversa e mi ha consigliato di vivere all’estero: secondo lei ero troppo “strana” per adattarmi a vivere in Giappone, che per molti versi è una società molto rigida e conformista.
Da bambina è mai stata presa di mira dai compagni di scuola per questo motivo?
Y. M.: In realtà no, perché gli altri mi vedevano come una straniera o un’aliena. Ero cioè così diversa da essere completamente al di fuori del loro mondo. È per questo che ogni volta che mi invitano a parlare in una scuola io dico agli studenti: «se per qualche motivo avete problemi ad integrarvi nel gruppo (cosa molto importante in Giappone) allora tanto vale sviluppare fino in fondo le vostre particolarità».
In altre interviste lei ha raccontato di come la sua avventura italiana sia cominciata a 14 anni quando, durante una vacanza in Europa, ha incontrato un signore italiano che le ha cambiato la vita. Però non tutti sanno che questo rapporto è continuato negli anni e ha avuto interessanti ramificazioni…
Y. M.: È vero. Questo signor Marco che ho incontrato in treno non riusciva a capacitarsi di come una madre potesse mandare la sua figlia quattordicenne in vacanza da sola all’estero. Fra l’altro agli occhi di un Italiano, una Giapponese di 14 anni ne dimostra 10. E così ha voluto che al mio ritorno in Giappone mia madre gli scrivesse per confermare che ero tornata a casa sana e salva. Da qui è nata un’amicizia fra loro due (anche Marco era musicista) e si sono messi d’accordo per farmi studiare in Italia. Tutto questo quasi senza chiedere il mio parere. Il fatto che io sia finita in Italia è quindi una pura coincidenza. A 17 anni sono andata a casa sua, a Bassano del Grappa, per poi trasferirmi definitivamente a Firenze l’anno dopo.
Immagino che sia rimasta in contatto con questo signore.
Y. M.: Con lui e con la sua famiglia – sempre però tramite mia madre – tanto è vero che diversi anni dopo avrei sposato suo nipote, molto più giovane di me (all’epoca del mio arrivo a Firenze aveva solo due o tre anni). Mia madre me ne parlava spesso, mi diceva che come me era un tipo molto strano (guarda caso anche lui grande appassionato di epoca romana) e che eravamo fatti l’una per l’altro. Quindi in un certo senso è stato un matrimonio combinato (ride).
All’inizio ha avuto problemi di ambientamento? Come si è adattata alla vita in Italia?
Y. M.: Per i primi 11 anni trascorsi a Firenze (prima di tornare momentaneamente in Giappone) è stato un problema dall’inizio alla fine. Per qualsiasi cosa era una lotta continua. Non conoscevo nessuno e all’epoca a Firenze ci saranno stati sì e no una ventina di Giapponesi. Anche economicamente mia madre non poteva aiutarmi molto, perciò ho dovuto sempre lavorare per mantenermi agli studi. Ho fatto la guida turistica, la commessa in una gioielleria, addirittura la ritrattista per strada.
Poi c’erano i miei problemi personali: stavo con un ragazzo che si considerava un poeta e in quanto tale era allergico al lavoro – al suo, non al mio. Per il resto però era un ambiente molto stimolante, molto diverso dalle scuole d’arte giapponesi che sono ancora relativamente chiuse. Si parlava apertamente di politica e di tante altre cose. Pensi che il primo film che mi hanno portato a vedere è stato Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini!
Se ho capito bene dall’età di 17 anni ha vissuto quasi sempre all’estero.
Y. M.: Più o meno sì, a parte i cinque anni in cui sono tornata in Giappone. Quando sono rimasta incinta ho deciso di tenere il bambino, ma allo stesso tempo ho lasciato il mio ragazzo e sono tornata a casa di mia madre. Erano gli anni ’90 e ho notato subito che l’Italia era molto di moda fra i Giapponesi. Quindi il lavoro non mi è mai mancato. C’era chi mi chiedeva di insegnare italiano o di parlare dell’Italia, fino a quando mi hanno chiesto di fare dei fumetti sull’Italia. La cosa interessante è che sempre in quel periodo ho lavorato per una televisione locale. Il mio lavoro consisteva nel visitare ogni settimana un diverso bagno termale nel nord del paese. Per me era un lavoro da sogno perché amo le terme e a Firenze avevo sempre vissuto in case che avevano solo la doccia. Tutte le esperienze accumulate con questo lavoro mi sarebbero servite nella stesura di Thermae Romae.
Quando Thermae Romae è uscito, da quanto tempo lavorava come fumettista?
Y. M.: Ho iniziato a 28 anni, quando sono tornata in Giappone. La pittura ad olio che avevo studiato in Italia non è un lavoro molto remunerativo e un mio compagno di Accademia mi consigliò di provare a fare fumetti. Così ho partecipato ad un concorso per nuovi talenti in Giappone e sono arrivata in finale. Visto che avevo vissuto a Firenze ho scelto una storia ambientata in Italia. Forse mi hanno scelta anche per questo motivo. Però per diversi anni ho dovuto fare anche altri lavori, come ho già detto, e ho cominciato a dedicarmi seriamente al fumetto solo dopo essermi trasferita a Lisbona con mio marito.
Effettivamente anche in Giappone, nonostante l’industria del fumetto sia enorme, sono pochi quelli che ce la fanno.
Y. M.: Infatti dei cinque finalisti a quel primo concorso a cui ho partecipato solo io ho continuato. In parte mi ha aiutato il fatto che fino ad allora non avevo mai letto fumetti, non avevo nessun modello a cui ispirarmi, così le mie storie e il mio stile sono sempre stati molto particolari.
In Italia finora oltre a Thermae Romae è uscito solo PIL che è molto diverso sia come tema che come stile. PIL può essere considerato almeno in parte una storia autobiografica?
Y. M.: Sicuramente. Al liceo mi piaceva veramente il punk, mi ero rasata la testa e volevo diventare una musicista. L’idea è partita dal mio redattore che pensava che questa storia avrebbe potuto incoraggiare tanti giovani Giapponesi che si sentono diversi a essere se stessi infischiandosene di quello che pensa la gente. Sinceramente non so perché la Rizzoli abbia deciso di tradurre proprio questa storia. Personalmente preferirei che la gente leggesse altre mie cose.
Lei in realtà voleva diventare una musicista, non un’artista. Che rapporto ha mantenuto con la musica?
Y. M.: Anche a mia madre sarebbe piaciuto, ma naturalmente non una musicista rock! Anche adesso ogni tanto suono con il mio collaboratore, Tori Miki. Abbiamo scoperto di avere gli stessi gusti e due o tre volte all’anno facciamo dei concerti a Tokyo, più che altro per divertimento.
Ho letto con molto divertimento Italia Kazoku Furin Kazan [lett. “Famiglia italiana. Vento, foresta, fuoco, montagna”, abbreviazione del motto scritto sullo stendardo che il signore feudale Takeda Shingen usava in battaglia], uno dei due libri che ha dedicato alla sua famiglia italiana. Quanto è fedele alla sua vita privata?
Y. M.: È tutto vero (ride) anche perché alla fine la realtà è sempre più interessante della finzione e la famiglia di mio marito è veramente stravagante. La cosa divertente è che quando mia suocera è venuta a sapere di questo libro (nonostante io avessi fatto di tutto per tenerlo nascosto) mi ha chiesto di tradurglielo pagina per pagina. Io mi sono sentita morire, perché nel libro la prendo spesso in giro. Così abbiamo letto insieme tutti questi episodi della nostra vita familiare – tutti veri, ripeto – ma alla fine lei mi ha guardato e mi ha detto con una certa gravità, «eh sì, ci sono davvero delle persone così». Non si è proprio riconosciuta in quel personaggio – per fortuna. Mio marito ha capito tutto subito, naturalmente. Devo comunque dire che oggi anche in Giappone le mamme più giovani mostrano maggiormente il loro attaccamento ai figli. Non è più come una volta.
Adesso che vive di nuovo in Italia, come si sente ogni volta che torna in Giappone?
Y. M.: Questa è una domanda interessante perché è vero che il Giappone ancora oggi, nonostante la superficiale internazionalizzazione, vive in un certo senso in uno stato di isolamento. Spesso mi chiamano per rilasciare delle interviste o mi invitano a dei programmi perché sono una persona che in qualche modo riesce a vedere il proprio paese dall’esterno, in modo più oggettivo. L’altro giorno, ad esempio, ero in TV alla NHK e il tema era “perché in famiglia non si parla mai di politica? Perché le donne non parlano di politica?”. In Italia è una cosa normale ma in Giappone è ancora un tabù.
Un’altra cosa che mi spaventa è come di recente stiano proliferando programmi TV che celebrano il Giappone soprattutto in opposizione agli altri paesi. Lo stesso Thermae Romae è stato visto da molti lettori come una sorta di autocelebrazione del Giappone e della sua tecnologia. Questo non era affatto il senso che volevo dare alla storia, anzi. Probabilmente se il pubblico avesse saputo cosa intendevo fare, ossia una presa in giro dei Giapponesi, non avrebbe venduto così tanto.
Sempre sul tema di Roma antica lei ha collaborato con Tori Miki, famoso autore di fumetti, alla creazione di Plinius [Plinio il Vecchio]. Come è andata questa collaborazione?
Y. M.: In realtà collaboravamo già dal sesto e ultimo volume di Thermae Romae, quando avevo capito che non riuscivo più a fare tutto da sola e rispettare le scadenze mensili della rivista era diventato quasi impossibile. Così lui si è offerto di aiutarmi. Per me è stata una liberazione anche perché sapevo che lui era bravissimo. Da allora in poi io mi sono concentrata sulla sceneggiatura e i personaggi mentre lui ha curato gli sfondi e le scenografie. Il problema è che lui è talmente preciso che quando mi manda le sue pagine mi tocca correggere tutti i miei disegni perché non si integrano bene con i suoi sfondi. Invece di farmi risparmiare tempo a volte mi fa lavorare di più.
Mi può parlare del suo ultimo progetto sul Rinascimento?
Y. M.: È nato come una raccolta di saggi ma adesso sto lavorando anche alla versione a fumetti, sempre con Tori Miki. Il Rinascimento è il mio campo di specializzazione, è un tema che sento molto vicino, e volevo un po’ sfatare l’immagine dell’artista rinascimentale che si ha in Giappone – quella di un genio dalle qualità quasi divine. In fin dei conti queste persone erano degli artigiani che lavoravano sempre con l’assillo di produrre qualcosa, magari su commissione, un po’ come i fumettisti. Queste storie usciranno su una rivista d’arte, non di fumetti.
Intervista di Mario Battaglia