Scoperta : Nel paese dei Matagi

Ci sono voluti dieci anni ad Ebihara Hiroko per essere ammessa in questo mondo, fino ad ora riservato esclusivamente agli uomini. /Jérémie Souteyrat per Zoom Giappone

Ci sono voluti in effetti tre anni prima che lei potesse partecipare alla caccia all’orso al pari degli uomini matagi, nel mondo di questi cacciatori tradizionali le donne sono considerate quasi delle intruse. Una volta si proibiva persino di avere rapporti sessuali nel mese prima di partire per le montagne: per i matagi la caccia rappresentava un simbolico matrimonio con la dea che venerano così tanto. “Ecco perché prima di andare in montagna bisognava essere puri”, aggiunge Saito Shigemi.
Come ha fatto allora Ebihara Hiroko a farsi strada nel mondo dei matagi? La sua storia comincia dieci anni fa, quando era una studentessa di pittura giapponese a Yamagata, una città a quaranta chilometri a nord-est di Oguni; lavorava molto sugli animali dello zoo, ma, secondo lei “mancava qualcosa, una specie di vitalità, probabilmente la forza stessa della natura, propria degli animali selvaggi”. Un giorno, il suo professore, esperto della cultura dei matagi, le propose di seguire una spedizione di cacciatori. “Per me era prima di tutto un’occasione per osservare gli animali in libertà e nel loro habitat”, ci ricorda Ebihara, che accettò all’istante, non potendo immaginare che dieci anni dopo avrebbe percorso le montagne con i matagi.
Una volta sulle montagne rimase impressionata dalla loro minuziosa conoscenza dell’ambiente e degli animali: “Un buon matagi- spiega Saito Shigemi- deve imparare a conoscere perfettamente l’ambiente in cui si trova”. Saito, che vaga per le montagne in compagnia del suo fucile da quando era bambino, conosce a memoria l’ubicazione delle sorgenti, i luoghi più pericolosi all’arrivo dell’inverno o ancora come dedurre la taglia di un orso osservando le sue tracce. “Sono delle persone capaci di arrampicarsi su un pendio innevato come se nulla fosse!” esclama Ebihara Hiroko. Effettivamente, da dicembre ad aprile, qualsiasi cosa è ricoperta di neve, addirittura fino a quattro metri in certi punti, ci vuole quindi una certa abilità anche solo per potersi spostare tra i monti.
Il suo maestro, Saito Shigemi, è uno degli ultimi ad aver vissuto nell’epoca in cui i matagi vivevano ancora vendendo pellicce e fegato d’orso; oggi le proprietà medicinali di quest’organo sono messe in forte dubbio, ma allora, prima degli anni ‘50, esso valeva “quanto l’oro” spiega con nostalgia il vecchio cacciatore. Nella cultura matagi, l’orso è un animale speciale, perché permetteva di arricchire il villaggio intero e di sopravvivere al rigido inverno, valeva quindi la pena passare una settimana nelle montagne pur di catturarlo. “Ci si nutriva come si poteva e con quello che si cacciava, di notte ci si scaldava con un fuoco da campo” aggiunge. All’epoca i matagi comunicavano tra loro durante la caccia in una lingua particolare, derivata dal dialetto degli ainu, un popolo che viveva nella regione. “Quando ero giovane evitavo di parlare in questa lingua poiché la punizione, in caso di un errore, era infatti pesantissima: dovevi gettarti nel fiume per farti perdonare”, spiega Saito.
Il matagi racconta di aver affiancato dei cacciatori leggendari, capaci di scovare degli animali nascosti dietro ai tronchi fino a due chilometri di distanza e senza binocolo; questi anziani gli hanno raccontato dell’epoca in cui i cacciatori usavano delle lance per abbattere gli orsi.