Hosoda Mamorou non ha dovuto certo cercare molto lontano per elaborare il suo racconto, poiché, ancora una volta, si è ispirato alla sua esperienza personale. Nel suo precedente film aveva raccontato a modo suo la scoperta di cosa significhi essere padre. Nel caso invece del suo ultimo film, ha osservato suo figlio e si è basato su uno dei suoi sogni per inscenare il rapporto fratello-sorella, non dal punto di vista dell’adulto, ma del bambino. I personaggi non hanno un nome proprio, si chiamano papà, mamma, nonno, nonna, l’uomo misterioso eccetera. E questo proprio perché tutto è considerato a partire dalla percezione di Kun, che vede la sua vita stravolgersi per l’arrivo di Mirai: lei è la sola, con il fratello, ad avere un’identità nel film. Da qui Hosoda Mamoru può mettere in scena la sua scrittura, caratterizzato da sequenze in cui il piccolo Kun incontra i membri della sua famiglia, specialmente sua sorella, ad età diverse, così da permettergli di formarsi poco a poco, confrontandosi anche con delle prove senza le quali, ricorda il regista, sarebbe impossibile crescere e maturare. Una scena chiave del film è quella in cui Kun si trova in una stazione futurista di Tokyo, perso tra la folla:”Chi non si è mai perso in una stazione? Credo che molti bambini abbiano vissuto questa mia stessa esperienza. E’ cosi spaventoso perché è difficile trovare da soli il modo di uscirne, ecco perchè ho immaginato questa scena in cui Kun non riesce a farsi capire dal robot dell’accoglienza. Finché sono circondati dai loro genitori e sono in qualche modo protetti, i bambini non devono pensare a chi davvero siano, ma non appena escono da questo ambiente rassicurate, possono ritrovarsi di fronte ad una situazione di crisi, che diventa occasione per esprimere la propria personalità, ed è quello che ho cercato di rappresentare in questa sequenza » racconta il regista. Capiamo ancora di più con la presenza di questa scena che Mamoru ha dedicato un’attenzione particolare alla concezione della casa dove vivono Kun e la sua famiglia, ed è infatti proprio essa ad apparire nei primi minuti del film, diversa da tutte le case vicine, non solo per i colori caldi del tetto, ma soprattutto per l’architettura. Dopotutto il padre è architetto e la casa è, naturalmente, originale, con la presenza di un giardino al centro, uno spazio evidentemente molto importante. E’ lì che Kun vivrà gran parte delle sue avventure. Il regista ha sempre fatto sì che i personaggi si sviluppassero in case dotate di una forte identità., come in Summer Wars o in Ame e Zuki i bambini lupo senza la quale la storia avrebbe perso un elemento fondamentale. Diversamente dalle case di questi due film, quella di Mirai non ha né grandi aperture sull’esterno, né un vero e proprio engawa, quel corridoio che circonda la casa e fa da nesso tra interno ed esterno. Questo elemento importante della casa giapponese esiste nella casa di Kun, ma è inutile perché dà sul muro dei vicini, si capisce allora come mai il giardino acquisti una tale importanza trovandosi tra la sala dei giochi di Kun e lo spazio della vita famigliare, non esattamente conforme all’immagine della tipica famiglia giapponese. Il regista ha voluto mettere l’accento su una nuova tendenza che si sta sviluppando nell’ Arcipelago, dove è il padre che si occupa della casa, mentre la madre lavora. Il regista al contempo ne mostra anche il lato sperimentale sottolineando la mancanza di esperienza del padre nella gestione della casa, e questo diventa occasione per la messa in scena di numerosi momenti interessanti.
Con questo ultimo film Hosoda Mamoru dimostra ancora una volta di sapersi indirizzare a tutto il pubblico, non solo ai più giovani, che ammirano quel suo tocco di fantasia unico, ma anche gli adulti, poiché il regista sa fornire materia di riflessione sul modo in cui i figli crescono e osservano il mondo. Insomma, un’opera, questa, semplicemente bella ed emozionante.
Odaira Namihei
Riferimento
Mirai del futuro, di Hosoda Mamoru con le voci di Kuroki Haru, Kamishiraishi Moka, Hoshino Gen, Aso Kumiko. 1h38.