Per descrivere il gusto del sakè della regione, la nostra tôji utilizza una parola davvero interessante: ko-aji. Per lei questo termine che significa “gusto delicato”, rappresenta l’essenza stessa del gusto locale. È il contrario di ô-aji, che significa invece “gusto grezzo”. Se ô-aji è una parola comune, ko-aji rimane un termine poco utilizzato, soprattutto perché oggi, ad essere maggiormente richiesto è un gusto semplice, che si possa riconoscere immediatamente.
Tornando al “gusto locale”, i pesci che vengono pescati nel Mare Interiore, quali i mezzobecco del Giappone, i branzini, i calamari o altri pesci di piccola taglia, non possiedono grasso come i tonni. Non possiedono quindi un gusto riconoscibile all’istante per tutti, ma bensì un sapore sottile, delicato. “È un gusto che…mormora” spiega. Questo ko-aji, lo si deve imparare. Bisogna essere attenti all’evoluzione impercettibile di un prodotto nel corso delle stagioni. Secondo lei, i gusti dei sakè della regione tentano di accompagnare questo “gusto che mormora”. I sakè prodotti da Miho corrispondono perfettamente all’universo del ko-aji.
Gustando uno di questi sakè, si avverte una leggera acidità che ricorda lontanamente il profumo dei limoni che punteggiano la collina, là dove abbiamo insieme contemplato il mare e dove Miho ha affermato: “Da qui non si vede niente che non sia bello”. È vero che il paesaggio da queste parti è particolarmente armonioso. E tutti saranno d’accordo nel dire che Miho ha trovato il posto ideale per produrre “i suoi sakè”, la sua creazione che incarna perfettamente il paesaggio di Akitsu.
S. R.