Dopo un lungo soggiorno all’estero, Yazawa Yutaka ha dovuto imparare nuovamente a comprendere il Giappone.
Yazawa Yutaka è un avvocato giapponese laureato e formatosi professionalmente nel Regno Unito. L’anno scorso ha pubblicato il suo primo libro Vivere e scoprire il Giappone (tradotto in italiano ed edito da Mondadori). Si tratta di un’interessante introduzione alla vita in Giappone, in grado di fornire numerose informazioni sulla cultura e sulla gastronomia, sui divertimenti e sulla morale. L’autore, che ha trascorso più di vent’anni all’estero, si considera al contempo come un esperto e come uno straniero, spiegando cosa ama e cosa considera curioso nel suo Paese natale.
Secondo quanto leggo nel suo libro, Lei è originario di Tôkyô…
Yazawa Yutaka: sì, sono nato e cresciuto nel quartiere Katsushika, a est della capitale. Molti giapponesi lo considerano come un simbolo della Tôkyô popolare, ma oggi non somiglia più al quartiere della mia infanzia. Tôkyô subisce un perpetuo cambiamento, senza riguardi per la tradizione. Si è sempre alla ricerca della novità. È una bella città, assai recente dal momento che è stata fondata soltanto nel XVII° secolo e molti dei suoi abitanti sono arrivati da poco. Fra di essi, molti provengono da altre regioni del Giappone e si sono trasferiti in città al momento dell’iscrizione universitaria o per cercare un impiego. Hanno vissuto qui, senza radici, durante tutti questi anni. Quando vanno in pensione, si rendono conto che Tôkyô non è la loro vera patria, ma non possono più partire, è ormai troppo tardi.
E la sua famiglia?
Y. Y.: vive nello stesso quartiere da nove generazioni, dall’inizio dell’era Edo (1603-1868). Tuttavia, dalla mia nascita avvenuta nel 1970, ho visto il mio quartiere, situato in origine in una zona rurale, diventare un’area industriale e trasformarsi poi in una città di periferia piena di centri commerciali. C’era una cartiera vicino a casa mia. Quando l’hanno distrutta, il mio quartiere è stato invaso dai topi che ci vivevano.
Katsushika era famosa per i suoi numerosi fabbricanti di giocattoli.
Y. Y.: Esatto. È qui che è stata creata una versione giapponese di Barbie, chiamata Licca-chan. Mi ricordo che avevano attivato persino una linea telefonica Licca-chan per la promozione. Se chiamavate il numero, rispondeva un’attrice che fingeva di essere Licca-chan in persona. Diceva: “Grazie di aver chiamato, ero talmente occupata dai miei compiti…” Il numero di telefono era simile al nostro e abbiamo così ricevuto molte chiamate per sbaglio. Un giorno mia nonna ha finto di essere Licca-chan, per divertirsi, ma non fu una grande idea, perché dopo quell’episodio, abbiamo ricevuto chiamate sempre più strane.
Cosa l’ha portata a vivere all’estero?
Y. Y.: ho sempre voluto viaggiare all’estero. A diciannove anni, ho lasciato l’università e sono andato in Inghilterra per imparare l’inglese, questa decisione non è piaciuta granché ai miei genitori. Sono riuscito a superare l’esame d’ingresso all’università e ho trascorso undici anni a studiare e a lavorare nel Regno Unito come avvocato. Dopo essere tornato per tre anni in Giappone, ho accettato un impiego in uno studio di avvocati a Hong Kong, dove ho vissuto poi per nove anni. Dopo un altro anno passato a New York, sono infine rientrato definitivamente in Giappone, sette anni fa.
È stato complicato riadattarsi alla vita in Giappone dopo un soggiorno così lungo all’estero?
Y. Y.: In effetti al mio ritorno, mi sono reso conto che era facile corteggiare le ragazze in Giappone (ride). A vent’anni, vivevo in una dimensione internazionale in cui essere giapponese non era esattamente “sexy”, quindi dovevo compiere il doppio degli sforzi (ride). Tornando nell’arcipelago, mi sono ritrovato single, con un ottimo impiego e tutto d’un tratto, venivo considerato come un “buon partito”.
Scherzi a parte, non è stato facile. Avendo lasciato il Giappone a 19 anni, ho saltato un certo numero di riti di passaggio importanti che formano la gente di qui. I legami che siete in grado di tessere nel corso dei quattro anni di studi universitari e durante il vostro primo impiego – che per molti rappresenta l’impiego definitivo – sono estremamente importanti in Giappone. Vi offrono un sentimento di appartenenza e definiscono per molti aspetti chi siete. Trasferendomi all’estero, ho reciso questi legami e, al ritorno, mi sono reso conto che non avevo radici. Non ero veramente membro di alcun gruppo. Avevo perso il contatto coi miei ex compagni di classe e non avevo punti di riferimento, sia dal punto di vista sociale che economico. Nutrivo costantemente il sentimento di dover appartenere a qualcosa, ma mi trovavo in una sorta di limbo, dal punto di vista sociale. È una delle ragioni per cui mi sono sposato.