Il nome di Hakone Hachiri si scompone nel seguente modo: hachi (otto) e ri (unità di misura). La tappa si stende esattamente su 32 chilometri dalla stazione di Odawara-juku, verso Tôkyô e fino a Mishima shuku, verso Hakone, a un’altitudine di 846 metri sopra il livello del mare.
“È l’unico posto in Giappone a offrire una tale mole di testimonianze dell’era Edo” continua il direttore. Il percorso è in effetti stato conservato com’era all’epoca: castelli, città, case da té, sentieri lastricati, cedri centenari e postazioni di controllo. Tutto è stato perfettamente mantenuto, come una volta.
Quel mattino faceva freddo e una pioggia fine cadeva sulle spalle. La tappa di Hakone Hachiri non ha rubato la sua fama di tratto difficile. Enormi pietre piatte irregolari compongono la strada di Sakaichi-zaka, una stretta salita sull’omonimo cammino che offre continue occasioni di provocarsi una distorsione alle caviglie.
Difficile immaginare che qualche centinaio di anni fa, era una strada frequentatissima, quasi un’autostrada, su cui transitavano viaggiatori carichi, carri traboccanti di merci, cavalli e personalità di alto rango trasportate su baldacchini.
Ma andiamo avanti. I cedri centenari che sfilano lungo il il percorso rilasciano un piacevole profumo di legno umido. Siamo in autunno e le foglie degli alberi si sono tinte di giallo, rosso e ocra, facendoci dimenticare il pavé bagnato che fino a questo momento aggiungeva una difficoltà ulteriore alla marcia. Owada Kôichi, specialista della storia del Tôkaidô e direttore dell’antica dogana di Hakone oggi trasformata in museo, estrae un paio di sandali di paglia di riso dal suo zaino: “Sono dei waraji” spiega. “All’epoca Edo, i viaggiatori li utilizzavano per non scivolare sul selciato ed erano molto efficaci. Se le intemperie perduravano durante i tredici giorni del tragitto, bisognava cambiarli sovente, ogni due o tre giorni.”