Prodotto nella prefettura di Yamanashi, questo nettare è oggi considerato come uno dei migliori vini del Paese.
Quando il cielo è sgombro, Kondô Nobuyuki scorge il monte Fuji all’orizzonte mentre si occupa delle sue vigne. Nella calma olimpica di un pomeriggio di maggio, osserva i primi germogli, sfiora i rami con la punta delle dita. I grappoli non saranno pronti per la vendemmia prima di settembre. Per il momento quindi, si limita a sorvegliarli, come il latte sul fuoco.
Si occupa da solo dei suoi venticinque ettari. Il suo vigneto, Komazono, esiste dal 1952 e produce ormai soltanto vino organico. “Lavoro solo l’uva di Kôshû, dalla buccia viola, a partire dalla quale si produce soprattutto vino bianco. Rispetto le tecniche tradizionali antiche e scegliendo la via del biologico, affronto una sfida supplementare” spiega. Il vino organico è in effetti una sfida considerevole in Giappone, “le stagioni delle piogge di giugno e settembre, rendono fragili i grappoli e favoriscono le malattie. A settembre, quando siamo prossimi alla raccolta e poco prima che giungano i primi acquazzoni, copro a mano ogni grappolo con un ombrellino di carta”, aggiunge il viticoltore. Un lungo lavoro da certosino.
Komazono si trova nella cittadina di Kôshû, nella prefettura di Yamanashi, prima regione produttrice di vini in Giappone. Il municipio conta a esso solo una trentina di vigneti degli 89 presenti nella prefettura. Essenzialmente, si tratta di piccoli produttori che si impegnano a produrre il miglior vino possibile. Lo scorso inverno, la giuria femminile della sesta edizione del Sakura Japan Women’s wine awards ha consegnato il premio del miglior vino bianco a Kondô Nobuyuki, per la sua cuvée Tao Kôshû. Komazono era in competizione con numerosi vini del mondo intero. L’uomo, sulla cinquantina e padre di tre figli, è alla testa della tenuta vinicola dal 2015 e non nasconde la sua fierezza davanti a questo riconoscimento.