La Nakagin Capsule Tower, opera di Kurokawa Kisho, tenta di resistere alla sua distruzione programmata.
La Nakagin Capsule Tower non è difficile da trovare. Bisogna semplicemente raggiungere la stazione di Shinbashi, a Tokyo, affollata dagli uomini d’affari che la invadono ogni mattina e ogni sera, e proseguire verso est. Questo immobile strano, alto 54 metri, fa capolino tra gli edifici circostanti, che si affacciano sul percorso dell’autostrada.
Il suo aspetto suggerisce l’immagine di un gigante che si sia divertito a impilare una sull’altra delle enormi lavatrici. La Nakagin Capsule Tower è l’opera emblematica di Kurokawa Kisho, celebre architetto del XX secolo, conosciuto per essere il padre del movimento definito Metabolismo. Il concetto di questo gruppo, nato dall’iniziativa di giovani architetti giapponesi verso la fine degli anni Cinquanta, stava nel re-inventare l’architettura ispirandosi al metabolismo biologico. L’idea era quella di costruire degli immobili “viventi” con strutture intercambiabili, flessibili e estensibili. Immaginate ad esempio un edificio composto da stanze che funzionano come cellule che si rinnovano e si sviluppano in funzione delle esigenze dei residenti. Altro principio fondamentale del movimento era costituito dal “terreno artificiale”, una sorta di struttura verticale sulla quale venivano fissate le “cellule”. Questa visione era presentata come una soluzione per risolvere il problema di mancanza di spazio, generato dallo sviluppo improvviso e quasi brutale della città di Tokyo.
La Nakagin Capsule Tower, costruita nel 1972, è una fra le opere-simbolo del movimento. Le capsule, che sono in realtà degli appartamenti di 10 metri quadri, rappresentano le “cellule”, e la struttura principale incarna l’idea del “terreno artificiale”.
La torre è dunque la rappresentazione concreta della visione futurista di Kurokawa Kisho sull’architettura, concepita come «un albero i cui rami crescono verso il cielo». Si tratta per lui di «emanciparsi dall’architettura terrena» e annunciare «l’arrivo dell’architettura vivente».
L’architetto e il promotore del progetto avevano l’obiettivo di attirare qui gli abitanti del quartiere d’affari di Shinbashi e i residenti agiati di Ginza. Kurokawa vedeva in essi dei cittadini nomadi finalmente capaci di vivere dove più lo desideravano, fuori dallo spazio natale. «La capsula è la residenza perfetta per questo tipo di individui», dichiarava l’architetto nel 1969. La guerra era finita da 25 anni e si assisteva all’inizio dello sviluppo delle megalopoli e alla concentrazione degli abitanti negli spazi urbani. La parola d’ordine era lasciare la provincia ancora rurale e venire a vivere a Tokyo.
Concepite così come una seconda casa per businessmen, le capsule incarnano esattamente il futurismo degli anni Settanta rispetto alla nozione di residenza. Sono dotate di un televisore a colori, cosa non comune all’epoca, dell’aria condizionata e di amplificatori stereo. Tutto si può raggiungere direttamente dal letto, posizionato in fondo alla camera. Vicino al letto si trova una grande finestra tonda, che dà l’impressione di vivere nella cabina di una nave. L’atmosfera ricorda quella di film come Alphaville di Jean-Luc Godard e continua a sedurre gli appassionati di architettura a distanza di quarant’anni.
Sekine Takayuki, 52 anni, è fra questi. Un giorno, leggendo un articolo, scoprì che alcune capsule dell’edificio erano in vendita. «Non ho esitato un solo istante», racconta con un gran sorriso. «In palazzi creati da architetti celebri come Kurokawa, normalmente non è possibile viverci! Ho trovato la cosa straordinaria», ricorda. Acquistò una capsula nel 2005 per quattro milioni di yen (35.000 euro) e vi trascorre i fine settimana con la moglie, anch’essa appassionata di architettura. Tuttavia, non è sempre semplice abitare in simili costruzioni. «Bisogna davvero amare questo posto», ammette.